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Carlo Nordio, il j'accuse: quando la giustizia è diventata ingiusta

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 Carlo Nordio

Corrado Ocone
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Chissà se i responsabili della casa editrice Liberilibri avevano considerato l’eventualità che Carlo Nordio diventasse Ministro quando gli hanno affidato il compito di inaugurare con il suo Giustizia(pag. 62, euro 13) una nuova collana (“Voltairiana”)di testi brevi dedicati ai concetti cardini del pensiero liberale? Fatto sta che le linee generali di quella riforma della giustizia che Nordio ha abbozzato l’altro giorno al Senato, fra lo strepitio dei molti giustizialisti che operano nel nostro Paese, sono qui non solo esposte con particolare chiarezza ed efficacia ma anche inserite in un contesto storico-teorico che le giustifica e spiega. Nordio ci accompagna per mano attraverso le successive acquisizioni di civiltà che, dal mondo classico e giudaico-cristiano, hanno rivoluzionato il concetto di pena e quindi la concreta pratica della giustizia. Dall’ “occhio per occhio e dente per dente” si è così arrivati, attraverso un processo storico non sempre lineare, ai limiti posti all’azione penale dallo Stato di diritto. La domanda che ci è posti è: “Perché punire?”. Per una sorta di retribuzione del torto con la sua stessa moneta, per intimidire il reo o per rieducarlo?

Nordio giudica utile, da un punto di vista pratico, che non ci si appiattisca su una di queste risposte ma le si tenga appunto tutte insieme, senza dimenticare che la pena è ciò che serve a conservare l’autorità di uno Stato e quindi a placare l’allarme sociale provocato dal reato. Ciò però esige che l’autorità giudicante sia imparziale, che il concetto di “uguaglianza davanti alla legge” sia effettivo e non retorico. Che è ciò che in Italia non può dirsi essere per tutta una serie di motivi storici e culturali che hanno cooperato a quella che può definirsi una vera e propria disfatta storica del principio di Giustizia. E che l’autore di questo libretto elenca puntigliosamente. Particolarmente illuminante è la dimostrazione di come il principio astratto dell’obbligatorietà dell’azione penale, inserito nel nostro ordinamento, sia paradossalmente proprio la larga maglia in cui può inserirsi oggi ogni prevaricazione e arbitrarietà del potere giudicante. La discrezionalità dell’azione penale, propria dei sistemi anglosassoni, trova infatti un limite in criteri oggettivi e consuetudinari; da noi è invece assoluta perché la scelta la impone l’impossibilità di gestire praticamente le migliaia di fascicoli che si accumulano sui tavoli dei pubblici ministeri. I quali, a quel punto, scelgono in base ailoro pregiudizi politici o in base alla possibilità o meno che un determinato caso possa soddisfare la loro vanità umana (visibilità, notorietà,progressi nella carriera).

 

GLI ABUSI
La separazione delle carriere inquirenti e giudicanti, l’eliminazione degli abusi connessi alla carcerazione preventiva, la presunzione d’innocenza legata alla certezza del diritto, sono gli assi attorno a cui si muove quella che Nordio auspica come la “rivoluzione liberale” e garantista del nostro ordinamento. Alla base del quale debbono esserci per lui due principi “filosofici” inderogabili: la salvaguardia della dignità della persona umana, e quindi anche dell’accusato e del reo, e l’idea che la giustizia penale viene esercitata non per imporre un’etica, o perseguire i “peccatori”, ma per far rispettare le regole. Un altro dei punti che Nordio tocca, riguarda la bulimia di leggi, spesso contradditorie, a cui il cittadino italiano dovrebbe far riferimento. Non è un tema nuovo ed è collegato, fra l’altro, a quell’idea di una semplificazione amministrativa che è lagrande incompiuta della tradizione italiana. Interessante è però considerare come l’autore di questo libro la colleghi al “vizio illiberale” che permea il nostro ordinamento, tutto protesoal compito non difar rispettare le leggi ma di “redimere” ilmondo dai “peccatori”: «Abbiamo disposizioni severe e attitudini perdoniste, una voce grossa e un braccio inerte, una giustizia lunga e un fiato corto: vogliamo intimidire senza reprimere e redimere senza convincere.

LA COSTITUZIONE
Siamo anche un po’ ipocriti: contrabbandiamo la nostra accoglienza dei migranti come carità cristiana, mentre si tratta solo di impotenza e rassegnazione davanti alle spregiudicate strategie delle organizzazioni criminali». Nordio, nel suo J’accuse, non si ferma nemmeno davanti alla Costituzione, che non giudica “la più bella del mondo” ma tale da dover ancora essere resa realmente liberale attraverso profonde modifiche. Qualcuno accuserà Nordio di essere un “rivoluzionario”,ma infondo la rivoluzione che egli propugna è quella del buon senso. E più chealtro è una reazione,la volontà di ritornare dopo anni di ubriacatura democrati ci sta ai sani principi giuridici di una civiltà liberale. 

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