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Pm, il ricatto con l'obbligatorietà dell'azione penale

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Iuri Maria Prado
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L'obbligatorietà dell'azione penale, su cui il governo, tramite il ministro Nordio, ha annunciato di voler intervenire, costituisce il più ipocrita e ingiusto istituto su cui è fondata la maggior parte delle storture della giustizia italiana.

L'idea, peraltro sbagliata in sé, che l'accusa pubblica debba procedere appunto obbligatoriamente quando ha notizia della possibile commissione di un reato, si biforca in due pratiche entrambe inaccettabili: da un lato, quella che denuncia la vacuità di quell'obbligo, visto che sanno anche le pietre che i magistrati scelgono eccome cosa perseguire e cosa no, anche perché se perseguissero tutto, come in teoria dovrebbero, il sistema esploderebbe; dall'altro, la pratica cui si abbandona la magistratura che commette abusi ed errori, questi e quelli puntualmente giustificati «perché la legge imponeva di procedere», «perché si trattava di atti dovuti» e via di questo passo. Per capirsi, l'obbligatorietà dell'azione penale adempie allo scopo di rendere legittimo il rastrellamento giudiziario, ed è quella in nome della quale la giustizia trionfa nel primo piano di Enzo Tortora ammanettato.

 

Inutile poi far finta che tra gli attributi di questo bell'arnese non ci sia anche quello che conosciamo tutti benissimo, a cominciare da coloro che lo adoperano e da coloro che lo subiscono: e cioè il potere di ricatto e intimidatorio che quell'obbligo innegabilmente attribuisce alla magistratura corporata. La quale si oppone a qualsiasi ipotesi o di riforma in argomento non perché tenga all'interesse generale, ma perché crede e vuol far credere che a una qualsiasi destituzione del proprio potere- a cominciare da questo, che consente al magistrato di far ciò che gli pare - corrisponda una mutilazione della giustizia: non è così, e molto spesso è proprio il contrario.

 

 

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