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Vittorio Feltri, l'avvertimento: "Chi tocca le toghe finisce nei guai"

Vittorio Feltri
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Iuri Maria Prado, gloriosa firma garantista che portai in prima pagina de Il Giornale nel lontano 1994, e che tuttora volentieri leggo su Libero e su Il Riformista, procede come un treno ad Alta Velocità verso l'aula del Tribunale di Brescia per l'imputazione di diffamazione aggravata (da sei mesi a tre anni di reclusione, art 565 comma 3 cp). Il corpo del presunto reato è un commento vergato per il quotidiano splendidamente diretto da Piero Sansonetti (anch' egli dunque a rischio di manette per l'assurdo reato incostituzionale di "omesso controllo" art. 57 cp), il cui titolo lascia intuire facilmente da chi sia pervenuta la denuncia. La carta annuncia "Quella cultura di Mani pulite" che nel trasloco sul web diventa "La cultura di Mani pulite è la vergogna della Repubblica italiana" 18 agosto 2020). Due parole sono tenute ferme in entrambe le versioni: Mani pulite e cultura. Mani pulite senza dubbio ma- noto pacatamente - anche piuttosto nervose anche se ormai rugose. I querelanti - cito dalla loro denuncia - sono «i sottoscritti dottori» Piercamillo Davigo, Gherardo Colombo ed Elio Ramondini i quali puntano il dito contro «tale Iuri Maria Prado», il quale è pur sempre un avvocato di rango, ma per restare alla rispettosa prosa del trio è un «giornalista» sì ma tra virgolette. Un uso legittimo dei citati segni ortografici secondo la grammatica, ma non c'è bisogno di essere linguisti alla Tullio De Mauro per intuire il senso spregiativo di questo trattamento: che vuole da noi il sedicente e oscuro personaggio? Si accomodi in galera.

 

 

 

La particolarità del caso non sta in questa attitudine a risolvere la questione con la gattabuia, per fortuna non preventiva, bensì nell'iter di questa faccenda di risentimento e carte bollate. L'opinione (ripeto opinione) di Prado, espressa dopo 26 anni dall'inizio di quell'epopea giudiziaria era stata ritenuta innocua dalla Procura di Brescia, che voleva disporne, sin dal 14 maggio 2021 una serena archiviazione, in nome del diritto di critica e del fatto che «le persone cui sono riferite le frasi (offensive) non sono individuabili». In effetti il bersaglio di Prado non sono questo o quell'altro pm del famoso pool, ma la cultura eversiva che ha caratterizzato gli atti della magistratura in quel periodo storico. Ed ecco che il Gip (giudice per le indagini preliminari) dopo circa un anno e sei mesi, precisamente il 22 ottobre scorso, ha sconfessato il capo della procura e il suo sostituto e ordinato al pubblico ministero di cambiare parere, predisponendo l'"imputazione coatta" di Iuri e Piero rispettivamente per diffamazione aggravata e omesso controllo.

L'ordinanza del Gip bresciano è prevista sì dal codice, ma, mi fa sapere chi se ne intende, un atto assai raro specie nel caso di diffamazione. Ma forse ancora più rara era stata la richiesta di archiviazione quando chi esige la condanna dei giornalisti è una toga o ex toga. Prado esprime i suoi pensieri di sempre e parla di «eversione giudiziaria organizzata da un manipolo meneghino». Dove sta la novità? Lo stesso procuratore generale di Milano dell'epoca, dottor Giulio Catelani, definì quel che stava accadendo nel suo Palazzo di Giustizia «la Rivoluzione italiana», stabilendo un parallelismo con la Rivoluzione francese, pur senza ghigliottina. Rivoluzione sbaglio o è cosa piuttosto eversiva? Il Gip, nel ritenere individuabili gli offesi, cita l'immagine apparsa accanto all'articolo della sfilata vicino al duomo di una sorta di corteo capeggiato da Tonino Di Pietro, Gherardo Colombo e Francesco Saverio Borrelli. Ma quella fotografia mostra esattamente non tanto i personaggi implicati quanto il clima rivoluzionario innescato e di sicuro cavalcato da molti protagonisti innalzati a eroi purificatori dal male dai mass media (e non mi tiro fuori dal ruolo che ebbi in tutto questo). Che succederà?

 

 

 

Ora toccherà a un nuovo giudice, stavolta denominato Gup, decidere di portare o meno a processo Prado e Sansonetti. La vedo male, ma non dispero. Dispenso gratis, nell'attesa, cosa per me inconsueta, un paio di consigli, e un rimprovero. Il primo consiglio è per i querelanti. Non ne discuto il diritto a sentirsi offesi, anche se un po' di distacco storico sarebbe necessario, ma davvero c'è bisogno di minacciare la galera per avere soddisfazione? Il secondo è per Giorgia Meloni e Carlo Nordio. Che cosa aspettano a depenalizzare per decreto la diffamazione a mezzo stampa? Mi fu promesso mille volte dai governi presieduti da Berlusconi. Non è cambiato niente. Il rimprovero è per Prado, che non ha ancora imparato quel che a mie spese (in termine di lire ed euro) ho appreso. Per lustri non ho profferito una sola parola storta contro i magistrati, perché li temo più di una grave malattia. In passato ogni volta che mi occupavo di uno di loro finivo nei guai. Nulla di insultante. Per anni non vergai più nemmeno una virgola sulla casta giudiziaria, cosicché risparmiai molto denaro, essendomi finalmente accorto che scontrarsi con lorsignori è come lanciarsi in moto contro un muro. O ti spacchi la testa o le tasche. O entrambe le cose, il che è più probabile. Ho imparato purtroppo sulla mia pelle che i giudici sono come i preti, di cui mia madre diceva: se ne incontri uno levati il cappello e lascialo procedere per i fatti suoi. Altrimenti sono rogne. Pensavo che dopo il caso Palamara fosse cambiato qualcosa. Mi sbagliavo.

 

 

 

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