Di Maio, condanna in famiglia: a quante ore di lavoro costringevano un operaio
Non bastava il flop alle elezioni e l'inevitabile uscita dal Parlamento, per Luigi Di Maio arriva un'altra batosta. L'azienda di famiglia è stata condannata per lavoro in nero. La società, prima intestata ai genitori poi passata ai figli (lasciata da Di Maio nel pieno della sua attività politica) è stata sanzionata dopo la denuncia di un operaio. L'uomo, nonostante il contratto part-time, lavorava a tempo pieno. Inizialmente l'istanza del lavoratore era stata respinta.
Ieri, però, la sorpresa: "La terza sezione controversie di Lavoro e di Previdenza ed Assistenza della Corte d’Appello di Napoli, presieduta da Piero Francesco De Pietro - scrive il quotidiano le Cronache di Napoli - ha ribaltato il giudizio, condannando la società di cui è titolare, stando gli atti della sentenza, Paolina Esposito, madre del ministro, a pagare una cifra superiore ai 15mila euro, di cui una parte a titolo di Tfr, oltre a una buona percentuale delle spese legali".
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I giudici hanno infatti etichettato come "illegittimo, ingiusto, infondato e inammissibile" quanto fatto dalla società Ardima nei confronti del carpentiere. Più nel dettaglio, il contratto di lavoro prevedeva 4 ore al giorno, per un totale di venti ore settimanali, ma in realtà era in servizio per non meno di 10 ore dal lunedì al venerdì "con concessione di circa 30 minuti per la consumazione della colazione al sacco".
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In ogni caso l'ex pentastellato si è chiamato fuori: lui e la sorella hanno ceduto il tutto al fratello Giuseppe, dopo che la madre gliel'aveva donata. Ma non solo, perché la Ardina era finita nel mirino della trasmissione di Italia 1, Le Iene, per presunti abusi edilizi a Mariglianella, poi regolarmente sanata con l’abbattimento dei manufatti.