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Alessandro Sallusti, la battaglia sulla Giustizia non finisce qui: noi restiamo liberi

Alessandro Sallusti
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Abbiamo perso, ma la migliore compagnia resta la nostra. Siamo comunque in tanti, gli unici che possono parlare a testa alta di Enzo Tortora, di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino (feriti dai loro colleghi prima di essere uccisi dai mafiosi) oltre che dei mille cittadini ingiustamente arrestati ogni anno. Abbiamo perso dei referendum nascosti all'opinione pubblica dalla stampa complice della casta ma continueremo a denunciare gli intrighi politici e giudiziari di una magistratura che, documenti alla mano, ha alterato il corso della democrazia negli ultimi trent' anni.

 


È paradossale che a decidere non siano gli italiani che hanno votato "sì" o "no" ma quelli che non hanno votato impedendo il raggiungimento del coro e che mai sapremo come la pensano, ammesso che abbiano un pensiero sulla questione e non solo su quella. Potrà mai essere libero un paese dove i cittadini non vanno ai seggi quando chiamati ad esprimersi su questioni cruciali? La miglior risposta è in una vecchia canzone di Giorgio Gaber: "Voglio essere libero /libero come un uomo/ come un uomo appena nato/ la libertà non è stare sopra un albero/ e neppure il volo di un moscone/ la libertà non è uno spazio libero/ la libertà è partecipazione".

 

Altri tempi, altri cantanti, altri politici e anche altro siamo noi. Oggi le libertà più reclamate sono poter dire che i vaccini sono un veleno, che l'Occidente fa schifo e che un pazzo di nome Putin non ha tutti i torti a sterminare donne e bambini. Inutile piangerci sopra ma consoliamoci: oggi i veri rivoluzionari, gli autentici fuori dal coro siamo noi che volevamo cambiare questo subdolo sistema giudiziario perché, come scriveva il filosofo Montesquieu già trecento anni fa: "Non c'è tirannia peggiore di quella esercitata all'ombra della legge con i colori della giustizia". Oggi sono in tanti a tirare un sospiro di sollievo, uno per tutti Fabio De Pasquale, il pm di Milano accusato ufficialmente di aver taroccato l'inchiesta farsa contro l'Eni, azienda strategica per l'Italia. Il fascicolo sul suo trasferimento dalla procura di Milano per "incompatibilità ambientale" inspiegabilmente giace da sette mesi nei cassetti della commissione disciplinare del Csm. Se il "sistema" se la prendeva comoda prima, figuriamoci adesso. Peccato. 

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