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Mario Giordano, "quanti giudici tributari arrestano all'anno": in che mani siamo, inquietante

Mario Giordano
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Per gentile concessione dell’editore Rizzoli e dell’autore Mario Giordano pubblichiamo un estratto del libro «Tromboni. Tutte le bugie di chi ha sempre la verità in tasca», in libreria da oggi. Di seguito, la prima parte del capitolo dedicato ai tromboni della giustizia.

Dicono che finalmente si farà la riforma della giustizia. Dicono che è la volta buona. Non come negli ultimi trent'anni che era sempre la volta buona ma poi non lo era mai. Dicono: «Accelerare i tempi dei processi». E poi: «Evitare la politicizzazione delle toghe». E poi: «Ripristinare la fiducia dei cittadini». Dicono sempre le stesse cose e dicono che non bisogna dubitare. Che ora tutto cambierà. E io ci credo, per carità. Però...

Il giudice tributario? È pignorato dal fisco. Non è uno dei colmi che recitavamo da bambini, come quello del pizzaiolo che ha la figlia capricciosa o quello dell'idraulico che non capisce un tubo. No: il giudice tributario pignorato dal fisco è una realtà. Stiamo parlando di Raffaele Di Ruberto, foggiano, 55 anni, membro della commissione tributaria di Latina, uno di quelli chiamati a giudicare sui contribuenti che non assolvono i loro doveri con il fisco. Peccato che, stando alle carte, nemmeno lui assolva i suoi doveri con il fisco: risulta infatti aver accumulato, nel corso degli anni, un debito con lo Stato di ben 130.000 euro. Sia chiaro: le carte ufficiali non sempre sono aggiornate, magari nel frattempo lui ha ripagato fino all'ultimo centesimo. O ripagherà presto. Oppure farà ricorso in Cassazione e vincerà. Ma il dubbio resta: può essere serena nel giudicare i rapporti tra cittadini ed erario una persona alla quale il medesimo erario sta chiedendo 130.000 euro?

 

 

INGEGNOSO SISTEMA
Non è l'unico caso, purtroppo. Donato Arcieri, 59 anni, lucano trapiantato in Lombardia, è stato arrestato nel dicembre 2021. Era giudice nella commissione tributaria della Lombardia. Insieme ad altre persone avrebbe architettato un sistema per frodare il fisco: 90 milioni sottratti allo Stato, anche attraverso un ingegnoso meccanismo che passava per l'acquisto di fiches nei casinò. Due anni prima erano finiti in manette due giudici tributari di Salerno, Fernando Spanò e Giuseppe De Camillis: avrebbero venduto sentenze in cambio di denaro. Dai 5000 ai 30.000 euro a botta. Nelle intercettazioni le tangenti venivano chiamate «mozzarelle». Proprio così: mozzarelle, magari con un filo d'olio per ungere meglio. Una bontà. In media «vengono arrestati uno o due giudici tributari l'anno», ammette Antonio Leone, il presidente del CPGT (Consiglio di presidenza della giustizia tributaria).

CASO GREGORETTI
Ma il numero non lo scandalizza perché «i giudici tributari sono tremila». Si capisce, caspita: volete che ogni tremila giudici tributari non ce ne siano un paio che frodino il fisco? O che prendano tangenti? O che almeno non paghino le tasse? Ma come potrebbe essere? Sarà che siamo cresciuti con un rispetto devoto per la giustizia. E per le tante persone oneste che sacrificano la loro vita in suo nome. Ma non riusciamo ad accettare che tutto questo sia normale. Così come non riusciamo ad accettare come normali le performance di magistrati alla Nunzio Sarpietro. Lo ricordate? Il 28 gennaio 2021, in piena emergenza pandemica, è arrivato a Roma per interrogare l'allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte sul caso Gregoretti, quello con Matteo Salvini nella parte dell'imputato. E dopo aver improvvisato un inopportuno show davanti a Palazzo Chigi sparando giudizi non dovuti sul capo del governo («Il premier mi ha fatto un'ottima impressione»), ha pensato bene di infrangere tutte le regole andando a pranzo in un ristorante (vietato) violando la zona arancione (vietatissimo). Il ristorante, ovviamente, era chiuso per tutti i cittadini comuni. Ma non per lui. Gli inviati delle Iene lo hanno beccato in flagranza di scampi, gamberi rossi e branzino al sale. Come vino, ovviamente, champagne. «Mi trovavo in stato di necessità» s' è giustificato lui. «Altrimenti avrei dovuto mangiare un trancio di pizza...»

 

 

Ma si capisce, poveretto: può il giudice Sarpietro mangiare un trancio di pizza come tutti i comuni mortali? Macché. Ci vuole lo champagne. E dunque per lui lo champagne (con scampi e gamberi rossi) è «stato di necessità». Così come è «stato di necessità» violare quelle regole che in realtà avrebbe il dovere di far rispettare a tutti i cittadini. Normale? E va be'. Se il comportamento del magistrato Sarpietro vi sembra normale, allora sarà normale anche quello del magistrato Piero Gamacchio, pure lui memorabile nei suoi approcci al ristorante. Giudice in Corte d'Appello a Milano, già protagonista di processi famosi come quello al Banco Ambrosiano, Gamacchio è un amante di piatti ricercati, tartufo bianco e vini pregiati. E, per gustarli, non ha mai esitato a girare tutti i migliori locali di Milano. Che dite? Il conto così viene un po' salato? Certo. Ma al giudice della Corte d'Appello non interessava. Anche perché lui, in genere, non pagava. Lui mangiava a scrocco. Era abituato così: si abbuffava, salutava e se ne andava. Senza mai farsi portare il conto. In questo modo ha accumulato debiti su debiti. «Si è trattato di un comportamento di grave leggerezza, me ne vergogno profondamente e presto porrò rimedio» ha ammesso lui. Ma solo quando è stato scoperto. Guarda un po'. Non se n'era accorto prima che il comportamento era «di grave leggerezza»? E, visto che parla di «porre rimedio», come potrà porre rimedio alla sfiducia che queste imprese generano nei cittadini? Anche perché chi mette in atto queste imprese, se veste la toga, quasi sempre la passa liscia.

 

 

L'APERITIVO
Come Claudia Ferretti. Magistrato, con un incarico importante, quello di sostituto procuratore a Modena, un giorno in pieno lockdown si è concessa un aperitivo irregolare alla Salumoteca Bruno Parrucca di Scandiano (Reggio Emilia), insieme a due amici, di cui uno, per altro, ergastolano in semilibertà con alle spalle una condanna per associazione mafiosa. Vi sembra opportuna la scelta di violare le regole della zona rossa in compagnia di un ergastolano? Non tanto, no? Eppure il CSM (Consiglio superiore della magistratura, l'organo di autogoverno delle toghe) esamina il caso e archivia tutto. Come sempre. O quasi sempre. Di recente, in effetti, una sanzione del CSM c'è stata: quella al capo della procura di Firenze, Giuseppe Creazzo. Accusato di aver molestato una collega palpeggiandola nelle parti intime, ha ricevuto l'adeguata punizione. Gli hanno tolto due mesi di anzianità lavorativa. Avete capito bene: perderà due mesi di contributi previdenziali per un reato che a un comune cittadino costa dai sei ai dodici anni di reclusione. Eppure lui si è lamentato. «Sentenza ingiusta» ha commentato. A chi lo dice.

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