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Filippo Facci, 565 innocenti in carcere: "E i magistrati non pagano mai"

Filippo Facci
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La legge sull'ingiusta detenzione funziona: ce ne sono un sacco. Non siamo ancora così cinici da metterla così, ma lo siamo abbastanza da accorgerci che ormai è un format, ogni anno basta cambiare il numero degli innocenti (neanche tanto) e aggiornare le cifre pagate dallo Stato (non dai magistrati) e in ultimo cambiare il nome dell'incazzato di turno: anche questa volta, sia benemerito, è Enrico Costa, vicesegretario di Azione. Nel 2021 - ha fatto sapere abbiamo speso 24,2 milioni per 565 ingiuste detenzioni e circa un milione e trecentomila per errori giudiziari. Costa aggiunge che le vittime sono state circa 30mila dal 1992, una cifra surreale che ormai scivola così, il senso delle proporzioni non ci soccorre più. Dice, poi, che in questo lasso di tempo avremmo speso 900 milioni di euro: possibile, probabile, anche perché - da altri dati nostri - ricaviamo che dal 1991 al 31 dicembre 2020 i casi sono stati 29.659, in media poco più di 988 all'anno.

Un format, dicevamo: come i libri. Nel 1987, a margine del caso Tortora, ci fu Storie di ordinaria ingiustizia (Sugarco) scritto da Raffaele Genah e Valter Vecellio, prefazione di Leonardo Sciascia e introduzione di Giuliano Vassalli. Nel 1996 ci fu Presunti Colpevoli (Mondadori) a cura dello scrivente. L'anno scorso c'è stato Il libro nero delle ingiuste detenzioni di Stefano Zurlo (Baldini+Castoldi) con prefazione di Carlo Nordio. E non contiamo più i referendum. Siamo nel 2022 e fa capolino tra cose sempre «più importanti» (anche niente è più importante di una vita umana incarcerata ingiustamente dallo Stato) anche il meritevole Costa, anche se è tutto tristemente già sentito: «A pagare è sempre solo lo Stato, chi sbaglia e arresta un innocente non rischia nulla», ha detto il segretario di Azione commentando i numeri forniti dal Ministero dell'Economia, che ha risposto a una sua interpellanza urgente.

 

 

(IN)CIVILTÀ GIURIDICA - Il Ministero nel 2021 ha pagato precisamente 1.271.914,90 euro perla riparazione da errore giudiziario (sette ordinanze di corti d'appello) e 24.206.190,41 per riparare le ingiuste detenzioni (565 ordinanze di corti d'appello). Ha detto ancora Costa: «Entro il 31 gennaio di ogni anno, il governo dovrebbe, per legge, relazionare alle Camere sul numero di arresti nell'anno precedente, sull'esito dei processi con arresti, sulle ingiuste detenzioni, sulle azioni disciplinari a chi ha sbagliato: tuttavia, nonostante la rilevanza di questi dati, è ormai prassi del Ministero della Giustizia presentare la relazione con notevole ritardo, non prima del mese di aprile. Questo dimostra il disinteresse rispetto aun tema che è di civiltà giuridica. Se una persona è stata arrestata e poi assolta, è giusto che si chiarisca perché ciò è accaduto. Il problema nel nostro Paese è che quando accadono queste vicende, lo Stato si volta dall'altro lato senza comprendere le vere ragioni, senza verificare le motivazioni dietro quegli errori e senza sanzionare chi sbaglia».

Il lungo virgolettato contiene quasi tutto quello che restava da dire. E che è vero. Stravero. Arcivero. Così come è vero che lo scandalo mediamente non scandalizza, viene servito come un aggiornamento meteorologico, si fanno spallucce. «L'auspicio», ha concluso Costa, «è che venga finalmente approvata la mia proposta di sanzione disciplinare per chi ha concorso, con negligenza o superficialità, anche attraverso la richiesta di applicazione della misura della custodia cautelare e all'adozione dei provvedimenti di restrizione della libertà personale», ha detto. Ha parlato, in questo Paese, di «norma di civiltà giuridica».

 

TUTTI GLI ORRORI - C'è da dire, a essere ancora più cinici, che censire tutti gli orrori ed errori compiuti dalla magistratura non è impresa alla nostra portata. C'è anzitutto l'ingiusta detenzione, come detto: un disgraziato di turno viene riconosciuto innocente nel corso dell'iter giudiziario e dopo un giorno, o magari sei anni (limite massimo della carcerazione preventiva nel nostro sistema), mediamente esce dalla galera prima che la sentenza diventa definitiva; magari dopo il rinvio a giudizio o, peggio ancora, dopo una condanna in primo grado. Questo a patto che il sistema riesca a correggere la stortura prima che la sentenza diventi, come si dice in questi casi, irrevocabile, di solito con il sigillo della Cassazione. Poi ci sono gli errori giudiziari veri e propri, che è peggio: la pena è diventata definitiva e il caso estato esaminato da un nugolo di giudici ed etransitato almeno in tre stazioni - primo grado, appello e Suprema corte - quando non di piu, fra rimpalli e annullamenti vari. Per rimediare, naturalmente, ci vuole un'altra sentenza, una sorta di passo del gambero dalla colpevolezza all'innocenza: si chiama revisione. Se tra le vittime di una giustizia fallace rientrano le ingiuste detenzioni e gli errori giudizia- tre ai casi di ingiusta deten e cautelare, è anche vero che andrebbero conteggiati an- i casi di prescrizione oltre a li ovviamente di chi ha vi- concludersi un procedito con un proscioglimen- e consegue che viene meente scagionato quasi un utato su due.

I VERI RESPONSABILI - L’altro dettaglio imparato a memoria è che paga lo Stato e non la magistratura, che pure fa parte dello Stato: la categoria infatti tutela anche le responsabilità più gravi e, nel caso italiano, ne fa sicuramente la categoria più impunità in assoluto. Ci sarebbe quella barzelletta chiamata commissione disciplinare del Csm, ma sappiamo: punisce i magistrati con sanzioni ridicole (ammonizioni, censure, spostamenti, paradossalmente promozioni) e non esistono neppure vere sanzioni sugli stipendi o sulla carriera. Dal 1999 non sono più previsti limiti per il risarcimento, ma prima di allora la «riparazione» oscillava tra le 70 e le 90mila lire al giorno: questo a patto che l’Avvocatura dello Stato non trovasse un cavillo che impedisse ai disgraziati di prenderei soldi. Complice un iter macchinoso, tra coloro che ne avrebbero avuto diritto, ai tempi, chiedeva il risarcimento uno solo su cento. Oggi non sappiamo.

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