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Sigfrido Ranucci, fare domande non significa buttare fango. Perché nessuno gli chiede dei soldi della Rai?

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Io mica l’avevo capito che i giornalisti, prima di occuparsi di una notizia, «aspettano chiarimenti». Io avevo capito che, se c’è una notizia,i giornalisti li chiedono, i chiarimenti. Invece no: stanno in vigile attesa. Un caso è quello di cui si sta occupando, da qualche dì, questo giornale: vale a dire il caso di un video in cui un famoso giornalista della televisione pubblica istruisce qualcuno su come confezionare un servizio-patacca, da usare come pezza giustificativa per il pagamento di un dossier da mandare in onda, con autore sbianchettato, per rovinare la reputazione di un noto personaggio politico.

 

E sapete che cosa succede, con una notizia così, in questo bel Paese? Non succede niente. E perché? Perché, come spiega Gaia Tortora, conduttrice di Telecinquestelle (la vecchia dicitura, La7, è fuorviante), «finché nulla è dimostrato sarebbe solo fango per tutti». Ineccepibile cautela garantista, immaginiamo. Ma acchiappare il telefono, chiamare Sigfrido Rannucci e domandargli se è vero che ha offerto i soldi della televisione pubblica simulando il pagamento di materiale taroccato e dissimulando quello che avrebbe remunerato il dossieraggio anonimo, che cos’è: buttare fango?

 

 

Citiamo l’esempio della giornalista di FivestarsTv perché dimostra come a un identico atteggiamento diciamo così temporeggiatore ci si abbandoni anche al di fuori del carrozzone degli undicimila dipendenti marcati Rai. Sarà ovviamente una pura combinazione se il diffusissimo e impavidissimo giornalismo investigativo, quello tosto, quello che non fa sconti, questa volta si ferma davanti all’orrore del fango. Il guaio è che mentre ci si copre gli occhi quello si secca, e poi finisce sotto al tappeto.  

 

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