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Piercamillo Davigo, "pretendo il pubblico in aula": il diktat alla "prima volta" da imputato

Paolo Ferrari
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Il tentativo di far diventare il tribunale di Brescia come gli studi di Dimartedì, la trasmissione in onda su La7 e condotta da Giovanni Floris dove Piercamillo Davigo è ospite fisso, è miseramente naufragato. Il gup di Brescia Federica Brugnara ha respinto ieri la richiesta di celebrare l'udienza preliminare a "porte aperte" avanzata dall'ex di Mani pulite, accusato, insieme a Paolo Storari, di rivelazione del segreto d'ufficio circa i verbali di Piero Amara sulla loggia Ungheria. «Questa vicenda è di interesse pubblico e siccome io non ho nulla da nascondere pretendo l'udienza a porte aperte» aveva detto Davigo ai giornalisti presenti. Richiesta che definire irrituale è poco dal momento che non si è mai vista un'udienza preliminare, celebrata in camera di consiglio e dove si deve solo decidere se il processo vada celebrato o meno, aperta al pubblico. Abituato a essere intervistato senza contraddittorio e con la claque dall'applauso facile, Davigo avrebbe molto probabilmente voluto replicare tale format a Brescia. Un modo, forse, per spostare l'attenzione dalle accuse pesantissime che gli vengono contestate.

 

 

 

Tutto nasce a marzo del 2020, una volta terminati a Milano gli interrogatori di Amara, noto alle cronache per essere fra i principali accusatore di Luca Palamara. Durante uno di questi interrogatori, Amara aveva rivelato l'esistenza di una loggia super segreta denominata "Ungheria" e composta da magistrati, imprenditori, professionisti, alti ufficiali delle Forze di polizia, il cui scopo sarebbe stato quello di pilotare le nomine dei capi degli uffici giudiziari al Consiglio superiore della magistratura. Ad interrogare Amara erano stati Laura Pedio, la vice del procuratore Francesco Greco, e Storari. I verbali, dove Amara aveva fatto i nomi di una quarantina di appartenenti alla loggia, erano però rimasti nel cassetto. Storari, vedendo che le indagini non proseguivano, aveva deciso di informare Davigo, all'epoca potente consigliere del Csm e con il quale era in rapporti di amicizia, consegnandogli i verbali in formato word e senza la firma di Amara e dei verbalizzanti. Davigo, a sua volta, ricevuti i verbali si era premurato di informare il vice presidente del Csm David Ermini, il procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi, alcuni consiglieri del Csm, il presidente della Commissione parlamentare antimafia Nicola Morra (M5s).

 

 

 

I VERBALI

Ad ottobre del 2020, dopo che Davigo era andato in pensione per raggiunti limiti di età, i verbali di Amara, che erano rimasti fino a quel momento nel suo ufficio al Csm, arrivano alle redazioni di Repubblica e del Fatto Quotidiano che, però, decisero di non pubblicarli. La vicenda diventerà di pubblico dominio quando il pm antimafia Nino Di Matteo, anch'egli fra i destinatari dei verbali, intervenendo in Plenum affermerà di aver già informato dell'accaduto l'autorità giudiziaria. Storari, per giustificare la sua azione di "messaggero", aveva affermato che, terminata la verbalizzazione di Amara, era intenzionato ad effettuare le prime iscrizioni nel registro degli indagati dei soggetti che avrebbero fatto parte dalla loggia, come il presidente del consiglio di Stato Filippo Patroni Griffi o l'ex vice presidente del Csm Michele Vietti, ricevendo invece un secco no. Il pm, sempre secondo il suo racconto, sarebbe stato stoppato dai suoi capi intenzionati a "salvaguardare" Amara da possibili indagini in quanto utile come teste nel processo Eni-Nigeria in corso all'epoca a Milano. Davigo, invece, si era giustificato dicendo che «se c'è un soggetto che fa delle dichiarazioni di estrema gravità, che siano vere o false, o che siano in parte vere e in parte false, è necessario fare le indagini per saperlo». Diverso lo scenario per il procuratore di Brescia Francesco Prete. Lo scopo di Davigo non sarebbe stato far luce su quanto accadeva in Procura a Milano ma solo trovare una scusa per motivare al Csm la rottura dei rapporti con il pm Sebastiano Ardita, il cui nome compariva nell'elenco di Amara e che ieri si è costituito parte civile. «Senza le condotte illecite compiute da Davigo e Storari, Ardita non avrebbe subìto la massiva infamante divulgazione di quelle informazioni riservate» ha sostenuto il suo difensore, l'avvocato Fabio Repici. La consegna dei verbali, e la successiva diffusione sulla stampa, avrebbero determinato "evidenti danni" ad Ardita vista l'infondatezza delle dichiarazioni di Amara. E pensare che Davigo e Ardita avevano anche scritto un libro insieme.

 

 

 

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