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Cassazione decapitata? Le balle della sinistra: se i conflitti di interesse esistono solo per i nemici

Paolo Ferrari
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In Italia esiste anche il conflitto d'interessi "tarocco". Lo abbiamo scoperto ieri. All'indomani della sentenza del Consiglio di Stato con cui sono stati decapitati i vertici della Corte di Cassazione, Repubblica e Corriere, in due pezzi sostanzialmente simili, si sono inventati il conflitto d'interessi che non esiste. Un passo indietro. Il relatore della sentenza di Palazzo Spada che ha stabilito che il primo presidente Pietro Curzio e la sua vice non avessero i titoli per ricoprire quegli incarichi si chiama Alberto Urso. Il ricorso, invece, era stato presentato da Angelo Spirito che, pur avendo molti più titoli, era stato subito scartato dal Consiglio superiore della magistratura, l'organo di autogoverno delle toghe che si occupa di nomine ed incarichi.

 

Cosa scrive allora Repubblica? Che Urso è diventato consigliere di Stato nel 2018 dopo aver vinto il concorso le cui prove erano state valutate da una commissione che annoverava fra i suoi componenti proprio Spirito. Non essendo previsto da nessuna parte che un magistrato si debba astenere quando tratta una causa che riguarda chi gli ha messo la toga sulle spalle, Repubblica tira fuori l'astensione per motivi di "etica". Seguendo il ragionamento del quotidiano di Largo Fochetti, anche Margherita Cassano, la presidente del collegio della Cassazione che ha cacciato con ignominia dalla magistratura Luca Palamara, si sarebbe dovuta astenere dal ferale compito. La magistrata, infatti, quando in passato aveva partecipato al concorso per diventare presidente della Corte d'appello di Firenze aveva trovato in commissione Palamara.

 

Analogamente Simone Perelli, il sostituito procuratore generale della Cassazione che aveva chiesto ed ottenuto la cacciata di Palamara, era stato promosso in quel ruolo grazie al voto di quest' ultimo. A parte i conflitti d'interesse a giorni alterni e, soprattutto, se riguardano i "nemici" degli amici, la giornata di ieri è stata contraddistinta da un durissimo comunicato dell'Unione della Camere penali sulla giustizia in Italia. Oltre alla sentenza del CdS, i penalisti hanno voluto ricordare al grande pubblico «una vicenda semplicemente incredibile, che abbiamo appreso dalla stampa». «La Procura di Brescia - scrivono gli avvocati - indagando sulla fuga di notizie sulle indagini sulla loggia Ungheria aveva chiesto al procuratore generale presso la Corte di Cassazione, Giovanni Salvi, ed all'ex procuratore di Milano Francesco Greco di esibire i rispettivi cellulari, ritenendo indispensabile ricostruire le conversazioni tra di loro».

La risposta ai pm di Brescia era stata, «in una coincidenza statisticamente prossima all'impossibile», che «quei cellulari erano stati purtroppo smarriti». Fatta questa premessa, i penalisti hanno rivolto un appello al governo ed al Parlamento per una riforma della magistratura che non sia solo una trattativa «bilaterale e parasindacale con l'Anm». «Occorrono coraggio ed una ambiziosa visione politica», affermano le Camere penali, auspicando che l'elezione del Capo dello Stato sia «il punto d'inizio per un non più rinviabile percorso di riforma e di riscatto». 

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