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Rimborsopoli in Piemonte, le "mutande verdi" inventate per creare terremoti politici: la verità sull'inchiesta

Andrea Valle
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 Le "mutande verdi" sono state utilizzate per caratterizzare l'inchiesta della Rimborsopoli piemontese. Che un paio di calzoncini del valore di pochi euro, trasformati abilmente in "mutande", sia stata la spesa più significativa scelta per caratterizzare una intera indagine e per gettare discredito nei confronti del Presidente della Regione Piemonte già permette di percepire - a chi non è in malafede - la valenza (anche in termini etici) di molte delle accuse rivolte a una intera classe politica, sostanzialmente nulle se non per le loro tragiche conseguenze. Un'accusa talmente ridicola formulata nei confronti di un Presidente di Regione (essersi appropriato di poche decine di euro) che ci dà la dimensione di che cosa sia stata in realtà questa indagine. Come sia finito tra le spese il famigerato scontrino etichettato come quello delle "mutande verdi" è stato ampiamente spiegato, ma è utile chiarirlo nuovamente. I pantaloncini sono stati acquistati nello stesso centro commerciale a Boston ove si è tenuto un pranzo di lavoro offerto dal Presidente all'ing. Roberto Dolci, che lo aveva accompagnato a visitare il MIT.

 

 

 

I FATTI

1) Lo scontrino è rimasto unito a quello relativo al pranzo, e, poiché aveva come intestazione "Vineyard Vines", non è stato poi separato al momento della richiesta di rimborso. 2) Lo stesso errore lo ha commesso il dott. Avenati in sede di dibattimento - scambiandolo per vino- mentre interrogava la teste Carossa e la stessa Corte d'Appello di Torino che ha inserito la spesa citata tra le spese di ristorazione. Non appare trascurabile che Cota è stato a Boston da solo (senza amici e parenti) per un corso di inglese specifico per la sua attività politica e per fare una visita al MIT. Il tutto a sue spese salvo dei singoli, specifici esborsi che erano afferenti all'incontro con l'ing. Dolci che collaborava con il MIT. L'intera trasferta, motivata da soli motivi di lavoro e formativi, costata migliaia di euro tra viaggio e soggiorno, avrebbe potuto essere interamente rimborsata dalla Regione o dal Gruppo, ma tale circostanza è stata del tutto trascurata e non approfondita dal Pm. All'evidenza avrebbe portato a ritenere impossibile un "dolo" di appropriazione di pochi euro da parte di chi si era accollato una significativa spesa rimborsabile. Eppure, in questo processo sono stati esaminati viaggi oggetto di rimborso da parte dei gruppi. Un collaboratore della consigliera Artesio ha messo in carico al gruppo consiliare il volo per una trasferta a Tel Aviv, con partenza il 2 e ritorno il 16 agosto 2010. E anche un collaboratore della consigliera Cerutti, tale Marco Furfaro, una trasferta in Tunisia. Entrambe le spese, secondo i Pm, erano rientranti nelle competenze istituzionali e funzionali del rispettivo gruppo consiliare in regione Piemonte. Perché Cota si sarebbe appropriato di pochi euro quando avrebbe potuto farsi rimborsare una trasferta di migliaia di euro? Appare lampante - per chi non è in malafede - l'errore commesso, che solo come errore può essere definito. Per configurare il peculato occorre invece che vi sia il dolo. Il Tribunale di Torino in primo grado aveva chiarito molto bene come gli errori complessivi per l'intero periodo oggetto dell'indagine, commessi da chi si occupava della rendicontazione delle spese di Cota fossero «pochi e per un valore complessivo non elevato (meno di 2.000 euro in relazione all'intero periodo di imputazione). Lo scontrino in questione non avrebbe dovuto, del resto, neppure essere inserito tra le spese contestate in quanto l'errore era stato scoperto e corretto (e l'importo rifuso) prima dell'avviso di garanzia. È stato Cota a correggere gli errori riscontrati nella contabilità (rifondendo immediatamente i relativi costi), eppure la procura non ha creduto alla sua buona fede, cosa che ha fatto il Tribunale in primo grado dopo aver ascoltato i testi ed in particolare in contraddittorio la deposizione della segretaria. Cota ha sempre chiarito di non essere mai stato concentrato sul denaro e di non aver nemmeno ritirato l'indennità/rimborso spese che aveva come componente del Comitato delle Regioni, che ha lasciato alla Regione, come risulta dalla produzione documentale di cui al fascicolo di primo grado (2.836 euro). Così come ha volontariamente rinunciato a una parte dell'indennità a inizio mandato per un importo di circa 4.000 euro.

 

 

 

BUONA FEDE

Gli importi contestati a Cota e oggetto di condanna da parte della Corte d'Appello (11.600 euro in tutto) sono stati ritenuti dal Tribunale in primo grado legittimi, e riferibili a spese rientranti nello svolgimento dell'attività politica; gli errori riscontrati, come detto, sono stati ritenuti di importo trascurabile ed effettuati in buona fede. Come si può configurare il dolo (che presuppone la consapevolezza di chiedere rimborsi per spese illegittime) se tre giudici hanno ritenuto che quelle spese potessero rientrare tra quelle legittime? Come si può escludere la buona fede? Eppure così è avvenuto. Ancora, non può considerarsi dato irrilevante il fatto che il complessivo importo contestato ammonta comunque a una cifra inferiore alle somme a cui Cota ha volontariamente rinunciato, sia a titolo di indennità, sia a titolo di spese rimborsabili (come quelle relative al viaggio in Usa). Cota ha poi rifuso ogni importo contestato anche le spese ritenute legittime dalla Corte di Appello. Gli importi sono stati maggiorati del 30%, proprio per evitare sul nascere ogni problema. A fronte di una contestazione rimasta ancora in piedi pari a 11.600 su tre anni, ha versato oltre 35.000. È evidente che in questo processo la "giustizia" sia stata piegata ad altri fini.

 

 

 

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