Giancarlo Pittelli? Che aberrazione se un'implorazione diventa motivo di condanna
Giancarlo Pittelli, che s' è fatto già un paio d'anni di custodia cautelare, e cioè da presunto innocente, è stato nuovamente mandato in carcere su delazione della ministra Carfagna, che ha girato agli sbirri la lettera con cui quel detenuto in attesa di giudizio la implorava di interessarsi alla sua vicenda. Non uso quella parola (sbirri) per mancare di rispetto agli agenti di pubblica sicurezza che, per ineludibile dovere d'ufficio, hanno a loro volta recapitato la prova del delitto (una lettera d'invocazione d'aiuto) alla piovra togata che ha rispedito in prigione Pittelli.
E se poi uso l'altro termine (delazione) non è per attribuire alla onorevole ministressa chissà quale intendimento persecutorio, ma solo la spensierata per quanto non propriamente nobilissima condotta del capocaseggiato che s' intesta la protezione degli interessi nazionali denunciando il renitente al Sabato Fascista. Non spiegheremo che nel prescegliere tra il diritto dello Stato di imprigionare, prima del processo, il responsabile di una epistola mal diretta, e quello di un indagato - chiunque egli sia - di reclamare un pizzico di attenzione per la propria vita sconvolta, forse occorrerebbe affidarsi almeno al dubbio. E che se è vero che esiste l'obbligatorietà dell'azione penale, è altrettanto vero che non si è eletti al parlamento né si è nominati ministri per passare le carte, tanto meno quelle di corrispondenza privata, al pm specialista in rastrellamenti e requisitorie televisive.
Che Pittelli abbia sbagliato - contravvenendo, con quella lettera, ai rigori della detenzione domiciliareè possibilissimo: anzi, visto quel che ne ha cavato, si può dire ha sbagliato senz' altro. Ma c'è qualcosa di osceno, qualcosa che ripugna al criterio minimo di umana civiltà, nella scena di quell'implorazione ripagata con quel freddo supplemento di pena.