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Saviano a processo per odio (o le intemperanze di un paladino della legalità)

Roberto Saviano

Lo scrittore dall'etica invincibile è nei guai: in tv aveva dato della "bastarda" a Giorgia Meloni, colpevole di volere la linea dura sui barconi. Per il giudice è diffamazione e si va a processo. Ma il nostro, come Charles Bronson "non molla"

Francesco Specchia
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Per chi, come Roberto Saviano, si pone spesso ad invincibile paladino della legalità, presentandosi da anni come un curioso impasto fra Serpico, Gino Strada e il cacciatore di nazisti Simon Wiesenthal, be’ beccarsi un rinvio a giudizio non dev’essere il massimo della vita. Diciamo che a livello di reputation è fastidiosetto.

Per questo Roberto Saviano, ieri, aveva l’aria più patibolare del solito. Era appena stato rinviato a giudizio dal Gup di Roma per l’accusa di diffamazione nei confronti di Giorgia Meloni. Aveva chiamato «bastardi» sia la Meloni che Matteo Salvini, nel dicembre 2020, dalle frequenze del Piazzapulita di Corrado Formigli su La7. Ce la ricordiamo tutti la scena. L’argomento era la morte di un bambino della Guinea durante una tragica traversata nel Mediterraneo. 

Saviano, come al solito, decise di caricarsi ad uso di telecamera dei dolori del mondo; ma, in quel caso, andò oltre la cronaca e ben sotto la pietas. «Vedendo queste immagini vi sarà tornato alla mente tutto il ciarpame dei taxi del mare, delle crociere, tutte quelle parole spese su questa disperazione. Viene solo da dire bastardi, come avete potuto. Meloni, Salvini: bastardi», disse, allora, Saviano, rispolverando la vecchia polemica sulle Ong, inquadrato in un primo piano indimenticabile. Quel “bastardi” proferito con indignazione non era certo un accenno al meticciato sociale ed etnico di chicchesia; né una citazione letteraria o musicale (I bastardi di Pizzofalcone di De Giovanni, le poesie bastarde di Davide Rondoni, la canzone Bastardo di Anna Tatangelo). No. «Bastardi» era inteso proprio in senso offensivo, con l’attribuzione velata di una colpa ai due leader del centrodestra riguardo la terribile fine del bimbo. Le reazioni furono diverse. 

Salvini, che è più mediatico, la prese semplicemente come l’ennesimo deliquio dello scrittore strettamente collegato alla lucina accesa dei cameramen; e lasciò correre. Meloni, che è politicamente più permalosa, esplose, stufa di assistere «al disgustoso sciacallaggio da parte di Saviano»; sicché, attraverso il suo avvocato Andrea Delmastro delle Vedove, lo querelò. Lo scorso luglio la Procura chiuse le indagini. Ieri il giudice per le udienze preliminari ha deciso di procedere contro Saviano, fissando la data per il suo processo per il 15 novembre 2022. 

Saviano,su Twitter non l’ha presa bene: «Oggi (ieri ndr) sono stato rinviato a giudizio - querelato da Giorgia Meloni - per aver esercitato il diritto di critica, il dovere di chi liberamente pensa. #Meloni querela per intimidire, per ridurre al silenzio, ma io non mollo!». Boia chi molla, insomma, è il grido di battaglia. E –a detta di un interdetto avvocato Delmastro- lo scrittore ha ribadito il concetto in aula puntando, come nei film, il dito in faccia all’interlocutore: «Non vi mollo, non vi mollo!», e ha rivendicato le sue parole senza il minimo accenno di risipiscenza, anzi. Saviano posta addirittura un video per spiegare nel dettaglio la sua posizione, insistendo sul libero diritto di critica. Ma proprio il Gup ha definito esorbitante, rispetto al diritto di critica politica, l’epiteto «bastarda».

Ed è interessante, antropologicamente, l’autodifesa di Saviano. Il quale spiega di prendere in prestito «l’espressione “non mollare” da una magnifica rivista. Il Non Mollare dei Fratelli Rosselli e di Gaetano Salvemini. La rivista dell’antifascismo italiano, di Giustizia e Libertà.bIl giornale che non mollava, teneva la luce accesa, nonostante i sequestri, nonostante gli arresti. Poi arriveranno gli omicidi. Nonostante la persecuzione e il fango. Non mollare è il nome di questa testata. Cioè ci siamo, vi osserviamo, vi raccontiamo. Non vi permetteremo a lungo la menzogna, la illumineremo…. questa volta proclamo il non mollerò, non molliamo, prendendolo dai Fratelli Rosselli».

Cioè: ecco che all’orizzonte di una società corrotta s’avanza un Saviano novello Salvemini contro i fasci di combattimento, impugnata la torcia della verità dei Fratelli Rosselli ad illuminar le tenebre dell’umanità perduta. Ed ecco pure che Saviano ribadisce l’espressione «ministro della malavita» per Salvini, roba sempre rubata a Salvemini che così chiamava Giolitti. Perbacco. Un’iconografia potente. Non so se ci sia materiale per altra diffamazione. Ma in fondo non è importante.

Importante è l’inconsueta chiave di disprezzo, se non d’odio, con cui Saviano, bravo scrittore e polemista cocciuto, oramai filtra ogni fatto che riguardi Salvini e Meloni avversari oltre l’umana decenza. Ogni volta che sente solamente nominare Salvini o Meloni, Saviano entra in trance. La vena sul collo gli si gonfia, lo sguardo è quello di Charles Bronson nel Giustiziere della notte il livore diventa una risacca incontenibile; e Roberto dagli occhi di brace estrae subito la calibro 38 della polemica oltranzista, e spara ai bersagli in movimento. Qualche volta ci piglia, a volte sbaglia mira. Ed è lì che il karma fa il giro e bussa alla tua porta. Anche perché poi, se fai il giustiziere e ti ergi a depositario di etica e giustizia, be’, è facilissimo che, dopo, ti contestino le condanne per plagio, le diffamazioni ai danni di imprenditori residenti all’estero (Vincenzo Boccolato, incensurato accusato da Saviano di affiliazione camorrista) e del papà di Yara Gambirasio, la solidarietà un po’ idiota all’assassino Cesare Battisti. Saviano oramai sta alla destra italiana, come Michela Murgia sta al maschilismo neofascista. I loro libri -di solito sopra la media- oramai passano in secondo piano, surclassati dal furore dell’ ideologia degli autori che s’adatta al ritmo dei palinsesti e delle agenzie stampa. Altro processo, altro show. Prossimamente su questi schermi...

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