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Napoli, se salvi i profughi ti mandano in galera: capitano condannato a un anno

Massimo Sanvito
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C'è un nuovo reato che si aggiunge nella giungla della giurisdizione italiana. Come se non bastasse già la miriade di codici, regolamenti e cavilli già esistenti. Si chiama «affidare i migranti alla guardia costiera libica». Ed espone al carcere. Lo sta sperimentando sulla propria pelle, per la prima volta in Europa, il comandante del rimorchiatore Asso Ventotto, di proprietà della compagnia Augusta: è stato condannato dal Tribunale di Napoli a un anno di reclusione per aver consegnato alla Libia 101 migranti, tra cui diversi minori e alcune donne incinte, dopo averli ripescati dall'acqua. Salvandogli la vita. Una sentenza che non solo fa rumore ma crea anche un precedente, se vogliamo, abbastanza pericoloso. Perché, di fatto, d'ora in avanti ogni nave civile impegnata nei respingimenti di profughi (o presunti tali) rischia processi e condanne.

 

 

 

Con ogni probabilità il comandante farà ricorso in appello ma non è escluso che debba risarcire ognuno dei migranti inviati a Tripoli. Perché? La Libia non viene considerata un luogo sicuro di sbarco dalle Nazioni Unite... Facciamo un passo indietro. Oltre alle indagini svolte dalla capitaneria di porto di Napoli, la magistratura ha valutato la questione anche sulla base delle conversazioni radio ascoltate il 30 luglio del 2018 dalla nave Open Arms, anch'essa impegnata nel salvataggio dei disperati del mare. Scambi di parole, pubblicati dal quotidiano Avvenire, che vennero subito acquisiti dalla procura del capoluogo campano e generarono l'inchiesta dei magistrati Barbara Aprea e Giuseppe Tittaferrante, coordinata dal procuratore aggiunto Raffaello Falcone. «Alla nostra richiesta di fornirci i dettagli delle posizioni, ci diedero indicazioni poco chiare. Questo per farci allontanare, ma poi abbiamo capito che era successo qualcosa di strano», aveva ricordato l'allora capomissione di Open Arms, Riccardo Gatti.

 

 

 

Sulla vicenda era intervenuta anche l'Eni, visto che l'Asso Ventotto si trovava a supporto delle piattaforme petrolifere al largo della Libia e operava per conto della Mellitah Oil & Gas gestita da Noc, la compagnia petrolifera statale libica di cui la stessa Eni è azionista. E proprio l'Eni smentì subito di essere coinvolta nell'episodio: era il giorno stesso del respingimento. Spiegò inoltre che l'operazione di soccorso a causa di condizioni meteo avverse «è stata gestita interamente dalla guardia costiera libica che ha imposto al comandante dell'Asso Ventotto di riportare i migranti in Libia». Non essendoci ancora le motivazioni della sentenza nero su bianco, non possiamo sapere cos'abbia convinto il tribunale a condannare il comandante del rimorchiatore che pure aveva soccorso e salvato i migranti in mezzo alle acque del Mediterraneo. L'ordine di consegnare gli extracomunitari alla Libia da chi è arrivato? Forse da quel rappresentante della guardia costiera che sarebbe bazzicato a bordo dell'imbarcazione italiana per gestire le operazioni in totale autonomia? Il processo, svolto con rito abbreviato, non ha potuto accertarlo e così a pagare è solo il comandante.

 

 

 

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