Open Arms, Matteo Salvini a processo. Fonti della difesa: "Accuse già smontate dal Gup"
Intorno alle 9 Matteo Salvini e l'avvocato Giulia Bongiorno entrano nell'aula B2 del Carcere Pagliarelli di Palermo, per la prima udienza del processo Open Arms che vede il leader della Lega imputato per l'operato nelle vesti di ministro degli Interni, nell'estate 2019, quando rispettando il decreto Sicurezza bis ha vietato lo sbarco in Sicilia a 147 migranti a bordo della nave della Ong. "Spero che il mio processo non sia il Festival del cinema - ha dichiarato Salvini -, ho servito il mio Paese e se verrò condannato lo accetterò". La Bongiorno ha più volte ribadito, come nelle altre occasioni, che la responsabilità di quella scelta era collegiale di tutto il governo (retto all'epoca da Giuseppe Conte con maggioranza formata da Lega e Movimento 5 Stelle) e non del solo Viminale.
La Procura di Palermo ha subito chiesto la produzione di una integrazione di atti da inserire nel dibattimento. Presenti in aula il Procuratore Francesco Lo Voi, l'aggiunta Marzia Sabella e il pm Geri Ferrara. Fonti della difesa di Salvini, però, mostrano ottimismo. "Il gup di Catania ha già smontato le accuse - filtra dal fronte legale del leader leghista -. Lo si legge chiaramente alle pagine 77, 78 e 79 della sentenza di non luogo a procedere pronunciata dal gup Nunzio Sarpietro per il caso Gregoretti".
Open Arms, come scritto dal giudice, "rimaneva per giorni tra le acque libiche e quelle maltesi, soccorrendo in tre diverse occasioni circa 130 persone, trasportandole, come detto, a Lampedusa, e dopo aver rifiutato lo sbarco di 39 migranti nell'isola di Malta, e dopo aver rifiutato due diversi Places of safety indicati dal governo spagnolo, prima in Algeciras e poi nelle isole Baleari. In particolare, poi, i naufraghi sbarcarono, come detto, a seguito dell’emissione in via di urgenza del decreto di sequestro preventivo adottato dal procuratore della Repubblica di Agrigento".
"Nel caso della Open Arms - prosegue quella sentenza - si è pervenuti alla conclusione di ritenere Stato di primo contatto quello italiano, perché era stato richiesto a IMRCC Roma la concessione del più volte menzionato Place of safety, ed anche perché la nave aveva già raggiunto le acque territoriali italiane. In conseguenza di tale principio, perciò, i comandanti delle singole unità navali delle Ong potranno scegliere i porti dove andare, che - inevitabilmente - allo stato attuale sembrano essere solo quelli siciliani". La sentenza prosegue: "Il caso ha suscitato diverse polemiche e prese di posizione, anche perché, come si rileva dalla stessa relazione del Tribunale dei Ministri, è emerso nel corso del processo il sospetto che alla base del rifiuto del comandante della nave di non accettare i porti spagnoli che gli erano stati assegnati e, quindi, di condurre la sua unità verso quelle destinazioni, vi fosse il timore di subire pesanti sanzioni del proprio Stato di bandiera, in relazione alla contravvenzione inerente la violazione delle norme di sicurezza sull’utilizzo della nave, che trasportava oltre 100 persone, pur essendo in realtà omologata soltanto per 19".