Il diritto del giornalista di non rivelare la propria fonte: cosa dice la Corte europea (e cosa accade in Italia)
Da tempo la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ammonisce che l’art. 10 CEDU pure si sostanzia nel diritto del giornalista a non rivelare la propria fonte confidenziale, tranne in ipotesi del tutto residuali, e questo anche riguardo a pressanti esigenze di carattere giudiziario. In sintesi, in base al condivisibile ragionamento della Corte di Strasburgo rispetto al menzionato art. 10, la regula iuris di portata generale è senz’altro quella della rigorosa salvaguardia della riservatezza delle fonti giornalistiche. Alla luce prospettica dell’insegnamento della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo la legislazione degli stati aderenti alla convenzione in parola deve uniformarsi al superiore interesse pubblicistico di protezione delle fonti della notizia, ove di carattere fiduciario.
In sostanza in un sistema davvero democratico la prerogativa dei giornalisti di non disvelare la fonte, proteggendone l’identità anche rispetto alla richiesta di organi statuali, è condizione imprescindibile per un effettivo esercizio del diritto di informare i cittadini. La reale tutela dell’anonimato delle fonti giornalistiche, quando queste debbano rimanere coperte dal segreto professionale, è dunque un fattore decisivo per conseguire la più ampia, diffusa informazione della generalità dei consociati su vicende di effettivo interesse. La salvaguardia della confidenzialità delle vie di approvvigionamento della notizia da parte degli operatori professionali della stampa costituisce il pilastro fondante della possibilità che gli stessi continuino, nel tempo, a fornire informazioni di interesse pubblico. Difendere quindi l’indipendenza del giornalista si sostanzia anche nel garantire la segretezza e, dunque, il mantenimento dell’assoluto riserbo circa la fonte dell’informazione.
Tanto chiarito, deve purtroppo sottolinearsi come in Italia una parte rilevante del settore dell’informazione non sia assistita da un’adeguata tutela giuridica. Si vuole qui significare come i giornalisti iscritti all’elenco dei pubblicisti dell’Ordine dei giornalisti non godano, immotivatamente, delle stesse garanzie legali offerte dall’art. 200 c.p.p. ai loro colleghi professionisti. L’attuale normativa, infatti, consente ai soli giornalisti professionisti di opporre il segreto sull’identità del soggetto che ha fornito loro la notizia in modo confidenziale, non permettendo uguale comportamento agli iscritti all’elenco pubblicisti del medesimo ordine professionale. Evidente allora la necessità che il Legislatore intervenga in via di massima urgenza per sanare detta irragionevole disparità di trattamento, quale pure confliggente con l’art. 3 della Costituzione. Nella direzione in parola si orienta il disegno di legge di iniziativa del Senatore Caliendo che, fra l’altro, propone in modo espresso la modifica del comma 3 dell’art. 200 del codice di procedura penale, così da garantire la stessa tutela delle fonti di notizia di carattere fiduciario a tutti i giornalisti, indifferentemente dall’elenco in cui siano iscritti, nell’ambito del libero esercizio della loro professione che è quella essenziale in una società democratica di informare il pubblico in modo indipendente e scevro da condizionamenti. Il mancato adeguamento della normativa in esame, infatti, è potenzialmente in grado di creare seri fenomeni distorsivi, soprattutto per i pubblicisti precari o freelance, comunque non garantiti da testate giornalistiche di rilievo, rispetto a inchieste per loro natura scomode, come quelle a titolo esemplificativo in materia economica, finanziaria o di utilizzo di fondi pubblici, settori nei quali l’assoluta tutela dell’anonimato della fonte della notizia è condizione imprescindibile per ottenere le informazioni.
di avv. Francesco Nota Cerasi