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Giuseppe Nucci, i pm processano l'ex ad di Sogin senza sapere perché: due volte assolto

Sandro Iacometti
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«La Sogin comunica che, con sentenza del Tribunale penale di Roma del 28-11-2017, divenuta irrevocabile, il giudice per le indagini preliminari ha assolto l'ing. Giuseppe Nucci dal reato di peculato continuato ascrittogli con la formula più ampia perché il fatto non sussiste». Si è chiusa così, con poche righe in un anonimo e minuscolo spazio a pagamento comparso un paio di mesi fa sulle pagine interne del Corriere della sera, l'incredibile (e vergognosa) vicenda giudiziaria dell'ex ad della società che si occupa dello smantellamento delle centrali nucleari dismesse e della messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi. Facciamo un passo indietro. E' il maggio del 2014. La procura di Milano avvia la grande inchiesta sugli appalti degli Expo. Arresti a raffica, mazzette a go go, ramificazioni politiche, l'ombra della criminalità organizzata, antiche glorie come Primo Greganti coinvolte. Ci sono tutti gli ingredienti per far emozionare i nostalgici della vecchia Tangentopoli. E, proprio come all'epoca di Mani pulite, il fango inizia a schizzare ovunque. Anche sulla Sogin, su cui i pm meneghini aprono un filone d'inchiesta per un appalto relativo ad un impianto di cementificazione dei rifiuti liquidi radioattivi a Saluggia, in Piemonte.

 

 

INDAGINE INTERNA
Nel mirino c'è Nucci, non più amministratore delegato da circa un anno, che all'epoca dei fatti avrebbe intrallazzato con la cricca dell'Expo in cambio di qualche poltrona importante nella Pa. Coincidenza ha voluto che proprio negli stessi giorni le risultanze di un'indagine interna condotta dai nuovi vertici della società finissero all'attenzione della magistratura grazie ad un esposto presentato dal neo ad Riccardo Casale. Sotto accusa, guarda un po', c'è sempre Nucci, a cui questa volta viene contestato l'uso personale e smodato della carta di credito aziendale. I giornalisti, manco a dirlo, si avventano sulla preda. A partire dai fustigatori della casta del Fatto Quotidiano, che il 14 maggio 2014 apre il fuoco con un articolo di prima pagina: «Sogin: spese pazze per borse Vuitton, gioielli e biliardini». Il servizio parla della «gran vita del boiardo Nucci», il manager «indagato per i rapporti coi faccendieri di Milano». Il tiro al piccione della stampa si diffonde. E Nucci in un batter d'occhio vede sgretolarsi sotto gli occhi una reputazione costruita in decenni di attività manageriale in società pubbliche e private. Classe 1951, laureato in ingegneria meccanica a La Sapienza di Roma nel 1977, muove i primi passi in Astra, del gruppo Fiat. Alla fine degli anni 80 è direttore commerciale della Cementir del gruppo Caltagirone, negli anni 90 approda all'Enel, come membro del cda di Enel Si, direttore della divisione distribuzione illuminazione pubblica e poi ceo della controllata So.Le. Nel 2005 diventa per la prima volta ad della Sogin, incarico che mantiene, contando anche il biennio 2009-2010 come vicecommissario di governo, fino al 2013.

 

 

Una gestione che secondo la Corte dei Conti è stata caratterizzata da «risultati positivi» sul bilancio, da una progressiva «intensificazione» delle attività di smantellamento delle centrali e, soprattutto, da un aumento degli affidamenti preceduti da procedure ad evidenza pubblica, nel nome di una maggiore trasparenza, che sono «passati dal 33% del 2010 all'85% del 2012». Possibile che dopo aver speso otto anni a rimettere in piedi la Sogin ed aver ricevuto gli applausi della magistratura contabile proprio sugli appalti, Nucci si sia messo nei guai per una gara manipolata e qualche spesa maldestra? La risposta è negli sviluppi processuali delle inchieste a suo carico. Dove a contare non sono tanto le sentenze di assoluzione (oltre al peculato il manager è risultato completamente estraneo anche alle accuse di concorso in turbativa d'asta), quanto le motivazioni. Motivazioni in cui i giudici non solo restituiscono piena dignità a Nucci, ma demoliscono senza pietà l'attività della magistratura inquirente, denunciando un plateale accanimento accusatorio privo di elementi probatori che oggi riesce a lasciare di stucco anche chi, dopo il tornado Palamara e la bufera in corso sulla procura di Milano, non si stupisce più di nulla. Entrambi i fascicoli vengono trasferiti a Roma per competenza e in entrambi i casi l'ex ad della Sogin, costretto anche a difendersi dalle pretese della "sua" società, che si costituisce parte civile nelle vesti di parte offesa, chiede il rito abbreviato nella convinzione che non ci sia motivo di tirarla tanto per le lunghe. E in effetti è così. Sulla vicenda dell'Expo il giudice per le indagini preliminari fatica perfino a capire il capo di imputazione, che «sollecita non poche obiezioni critiche sotto il profilo della determinatezza dell'ipotesi accusatoria».

EVANESCENZA
Ad essere messe in discussione sono, state bene a sentire, «la congruenza formale, l'esaustività descrittiva e la consistenza logica, prima ancora che fattuale della formulazione imputativa». Ma il giudice, per dovere d'ufficio, va avanti. E, approfondendo i fatti, è costretto a riscontrare «l'intera evanescenza di un capo di imputazione la cui rarefazione descrittiva è riflesso evidente e ineluttabile di un patrimonio indiziario altrettanto impalpabile e fumoso». Un patrimonio ricostruito attraverso «l'assemblaggio poco congruente di pretese emergenze investigative estrapolate dalle congerie di elementi ac della carta di credito, senza fare alcuna verifica sulle spese effettuate né preoccuparsi di verificare se ci fossero o meno delle regole aziendali in merito all'utilizzo dello strumento di pagamento. È difficile da credere, ma la prova regina dell'ipotesi accusatoria in cui il Fatto e tanti altri giornali hanno sguazzato per mesi consiste nel fatto che Nucci abitando a Roma non aveva motivo di recarsi in un albergo nella stessa città (dove tra l'altro non aveva soggiornato, ma semplicemente fatto pranzi di lavoro). Anche stavolta il giudice, nella sentenza del 28 novembre 2017, consiglia ai pm di tornare a studiare, spiegando loro che, come dice la Cassazione, che le spese di rappresentanza non sono peculato, ma soddisfano «il fine di accrescere il prestigio della sua immagine e la diffusione delle relative attività istituzionali nell'ambito territoriale di operatività».

 

 

ERRORE
Caso chiuso? Non proprio. Le sentenze, per quanto clamorose e cristalline nelle loro conclusioni, non bastano a ripulire l'immagine di Nucci. L'onda lunga del fango sparso da quelle inchieste gli fa probabilmente un cattivo scherzo anche nell'estate del 2019, quando Lega e M5S raggiungono un accordo sui nuovi vertici di Sogin che gli consentirebbe di tornare al suo vecchio incarico. Ad un passo dalla nomina, chissà perché, qualcosa va storto. La nomina si blocca. E la successiva crisi di governo provocata da leader leghista Matteo Salvini fa poi sfumare definitivamente l'opportunità. Nucci in questi anni non è stato con le mani in mano. Ha fondato e dirige un'azienda turistica in Umbria ed è tornato ad occuparsi di mobilità elettrica e smart cities, di cui si interessa dai tempi dell'Enel, con il lancio di Emctv Electric Mobility Channel, visibile su Sky e sul digitale terrestre. Ma, per colpa di un paio di inchieste farsa, lo Stato ha dovuto fare a meno di una risorsa. E lui ha dovuto fare a meno dello Stato, a cui ha dedicato gran parte della sua vita professionale. La Sogin, seppure con grandissimo pudore e grandissimo ritardo, ha riconosciuto l'errore. I pm che hanno messo in piedi quelle accuse ridicole, ovviamente, non lo faranno mai.

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