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Giustizia, meglio calare le braghe che rimetterci le penne. Perché alla fine Conte farà come dice Draghi

 Giuseppe Conte

Francesco Specchia
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«All'ordine facite Ammuina: tutti chilli che stanno a prora vann'a poppa/e chilli che stann'a poppa vann'a prora». La riforma della Giustizia vista dal comandante Giuseppe Conte rivolto alla ciurma grillina, ricorda l'antico ordine della Regia Marina delle Due Sicilie: incasinarsi la vita per dare l'impressione di una straordinaria operosità. Da quando Mario Draghi ha posto la questione della fiducia sulla riforma Cartabia al motto sussurrato di «qualche aggiustamento ok, ma non si snatura l'impianto...», e nonostante i mugugni di un magistrato al giorno (l'ultimo Gian Carlo Caselli sul Corriere della sera); be', Conte sta cercando di uscire dal cul de sac in cui s' è infilato.

Deve, l'ex premier, evitare di scontarsi con Draghi e, nel contempo, svincolarsi dalla ventina di pentastellati cazzuti che voteranno comunque contro la riforma e che potrebbero condizionare il resto del Movimento con una pioggia di emendamenti. Sicché, col solito fantastico colpo di lombi che lo contraddistingue, Conte prima riaccende la fiducia in Draghi: «Draghi non ha alcuna colpa. La piega che ha preso finora la questione della riforma non possiamo certo imputarla a lui. Semmai sono altri pezzi della maggioranza, dalla Lega a Italia viva passando per Forza Italia, che vogliono dare un colpo di spugna sulla prescrizione forse anche per metterci in difficoltà», dice ai suoi. Anche se sa benissimo che la "colpa" è, invece, proprio di Draghi. Il quale avrebbe potuto tranquillamente spostare la riforma a fine anno; e invece, onde evitare le insidie e i tormenti del semestre bianco, si appresta a chiudere il discorso impugnando la katana dei fondi europei. E quindi, Conte rassicura che non toglierà il suo sostegno al governo (pure se all'opposizione galleggerebbe benissimo).

 

 

 

 

 

Dopodiché, lo statista appulo si aggrappa a delle condizioni abbordabili: la possibilità di allungamento temporaneo dei termini di improcedibilità (le altre proposte avanzate dai Cinquestelle sono state di fatto bocciate da tutti gli alleati); e, soprattutto, l'idea di lasciare in vigore la prescrizione per i reati odiosi, specie quelli di mafia. In appoggio a Conte interviene, strategicamente, Luigi Di Maio: «Sulla riforma della giustizia sostengo il lavoro che sta portando avanti Conte e sono certo che troverà una soluzione all'altezza delle nostre aspirazioni. Bisogna intervenire per evitare il rischio che i responsabili di reati gravi come quelli di mafia rimangano impuniti». Per Conte che - rivela Tommaso Labate sul Corriere della sera ha perfino chiamato Draghi al telefono dandogli del "tu"- la sospensione della prescrizione per i reati di mafia (e magari di terrorismo) è il «punto di caduta imprescindibile».

 

 

 

 

Ma non è che la ministra della Giustizia Marta Cartabia non fosse d'accordo. Anzi. Ieri, nel colloquio di due ore col premier pare abbia proprio accennato alla fretta di sottoscrivere la mediazione voluta da Conte. Si può assolutamente fare. I processi dei mafiosi e dei terroristi potranno durare tutto il tempo ci vuole. Nessuna improcedibilità, lì. Considerando che i reati puniti con l'ergastolo sono già improcedibili (e imprescrittibili), Conte potrà vantare con i suoi la vittoria nell'ennesima "battaglia di civiltà". E se si raggiunge un accordo, e in commissione cadono gli emendamenti che potrebbero portare all'ostruzionismo - 1.631 di cui oltre 900 di M5S- tutti sarebbero contenti. Specie il Pd che sudava freddo. Anche Forza Italia. Che ritirebbe i suoi, di emendamenti. E l'ammuina avrebbe, alla fine, ottenuto il suo effetto... 

 

 

 

 

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