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Matteo Salvini, le inchieste contro la Lega scricchiolano. Facci ribalta Pd e Travaglio: cosa resta di 10 anni di assalti dei pm

Filippo Facci
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Un diffuso e sterile senso di noia aveva già anticipato il cammino giudiziario (lento, ovviamente) verso cui si va instradando l'inchiesta sulla Lega e i suoi «49 milioni», anche se l'indagine principale viaggia chiaramente verso l'archiviazione, e la ricerca dei milioni è ufficialmente passata ai magistrati non più di Genova, ma di Milano. In pratica il fascicolo genovese si è progressivamente svuotato, complice l'aver finalmente trovato uno dei tanto ricercati computer (che doveva contenere tracce degli spostamenti di denaro) col dettaglio che il pc era riformattato, insomma privo dei vecchi dati. Quella che approda a Milano, dopo un viaggio tipo diligenza nel medioevo, è ufficialmente l'indagine sui soldi all'associazione di Maroni, sospettata di aver ricevuto parte del «tesoro» leghista attraverso la fatturazione di servizi per una campagna elettorale.

 

 

 

Tutto fumo

È questo ciò che rimane dopo quasi dieci anni di gran fumo giudiziario, pregno soltanto di conseguenze politiche interne alla Lega: altro materiale quotidiano per motivare la riforma di Marta Cartabia. Nel gennaio del 2012 sulle colonne de il Secolo XIX si parlava del trasferimento di sette milioni leghisti in Tanzania, in Norvegia e a Cipro: e sulla vicenda si fiondarono tre procure alias Milano, Napoli e Reggio Calabria. Quello che si dimostrò, stringi stringi, è che parte di quei soldi, legati ai rimborsi elettorali, furono usati anche per interessi privati e talvolta ridicolizzanti, come una laurea in Albania a Renzo Bossi (che si sarebbe comprato anche un'auto) e il pagamento di qualche multa collezionata dall'altro figlio di Bossi, Riccardo. Per questo, quattro anni fa -10 luglio 2017 - Renzo, Umberto Bossi e il tesoriere della Lega Nord Francesco Belsito furono condannati a Milano per appropriazione indebita, anche se in Appello rimase in piedi solo la condanna di Belsito: i reati dei Bossi furono in parte prescritti e in parte non querelati da Matteo Salvini, divenuto intanto leader della Lega Nord. Il problema è che le condanne del luglio 2017 prevedevano comunque un risarcimento a Camera e Senato di 48,9 milioni di euro, somma dei soldi incassati o spesi illecitamente tra il 2008 e il 2010 dalla Lega. Ma perché - qualcuno si chiese- Salvini avrebbe dovuto pagare per illeciti commessi dai suoi predecessori? Risposta: perché nel triennio 2008-2010 la Lega aveva modificato i conti con false informazioni (per ottenere più rimborsi) e questo illecito sospendeva retroattivamente i rimborsi. Dunque la Lega - chiunque, ora, ne fosse segretario - doveva rimborsare quei soldi. Non i soldi spesi dai Bossi (per quelli c'era l'accusa di appropriazione indebita) ma quelli che il partito non avrebbe mai dovuto avere. Dunque, in seguito, fu rivelata una complicata dilazione di pagamento che prevede una restituzione dei 49 milioni allo Stato in circa 75 anni, con rate di 600 mila euro circa annui. Senza interessi. Il fatto che nel 2020 sia poi nato un nuovo partito, «Lega per Salvini Premier», non ha fatto sciogliere il partito vecchio e politicamente superato: non si poteva fare appunto perché vi gravavano i debiti citati.

 

 

 

Azione politica

La Procura di Genova comunque aveva cercato la soluzione peggiore, quella impossibile o in grado di cancellare completamente un partito democraticamente eletto: nel settembre 2017 aveva ordinato un sequestro preventivo finalizzato alla confisca dei 49 milioni, anche se in cassa ne trovarono poco più di 2. Nessuno lo trovò strano. Repubblica ha raccontato che la Procura di Milano, ora, starebbe cercando notizie anche sulla nascita della nuova Lega di Matteo Salvini: sotto la lente ci sono gli interrogatori del commercialista Michele Scillieri e il progetto delle varie leghe regionali, che secondo le accuse avrebbero rappresentato i vari rivoli in cui sarebbero stati riversati i soldi della nuova Lega e, in parte, ciò che restava dei 49 milioni. Ma presto si chiarirà tutto. Non impiegheranno più di diec'anni.

 

 

 

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