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Giustizia, la riforma solo un compromesso per salvarsi la faccia: perché non basta abolire il modello Bonafede

 Marta Cartabia

Bruno Ferraro
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L'istituto della prescrizione, profondamente riformato dal governo giallo rosso, dovrebbe avere i giorni contati. È bene, per comprendere l'importanza della materia, riassumere i termini della disciplina attuale, voluta dall'allora ministro della Giustizia Alfonso Bonafede in omaggio alla cultura giustizialista dei grillini, alla quale scelsero di aderire il Pd di Zingaretti ed Italia Viva di Renzi. Dal primo gennaio 2020 dunque, il corso della prescrizione si arresta dopo la sentenza di condanna o di assoluzione in primo grado. Conseguentemente, è sufficiente evitare di incorrere nella prescrizione in costanza del giudizio di primo grado per allungare, praticamente all'infinito, la celebrazione dei giudizi di appello e di cassazione. Non furono sufficienti, per impedire la riforma, uno sciopero degli avvocati penalisti e la presa di posizione di gran parte del mondo scientifico. Fu bocciata la procedura di urgenza per il disegno di legge presentato dall'on. Enrico Costa di Forza Italia.

 

 

Fu bocciata altresì l'ipotesi di ancorare la partenza della nuova disciplina all'entrata in vigore di una riforma più ampia che snellisca e riduca i tempi del processo penale. Nei mesi successivi ed in piena pandemia i presupposti sono mutati, Si è arrivati all'inizio del 2021 ad un governo di unità nazionale e, soprattutto, c'è, per accedere ai fondi del Recovery Plan erogati dall'Europa, la necessità di ridurre i tempi della giustizia considerati troppo lunghi. Una commissione di studio costituita nel marzo 2021 dal ministro della Giustizia Marta Cartabia è stata incaricata di «elaborare proposte di riforma in materia di processo e sistema sanzionatorio penale nonché in materia di prescrizione del reato». Una cosa però deve rimanere ferma. Il ripristino della prescrizione anche per l'appello e la cassazione non è sufficiente, poiché esiste la necessità, come per il processo civile, di incidere in profondità: in caso contrario ritorneremmo ai tempi precedenti alla riforma Bonafede e l'Europa avrebbe tutto il diritto di respingere le proposte del nostro Paese.

 

 

Cominciare dalla prescrizione è comunque un buon segnale, se è vero che essa corrisponde ad un principio di civiltà giuridica vigente in tutti i Paesi a regime democratico in quanto suffragata dalle seguenti ragioni: tempo non breve di prescrizione dei reati di media gravità attualmente sui 7 anni mentre i reati più gravi (omicidio e strage) sono da sempre imprescrittibili; esigenza di certezza sia per le vittime che per i presunti colpevoli, i quali ultimi perdono a causa del carico pendente la capacità di contrattare con la Pubblica Amministrazione e non possono partecipare a procedure concorsuali; mancanza, dopo eventuali assoluzioni finali, di seri risarcimenti per il danno ingiustamente subito; impossibilità, per gli assolti, di risalire sul "treno" della rinascita e della affermazione professionale. Conclusione. Si abroghi da subito la riforma Bonafede ma si porti sollecitamente in Parlamento un ampio disegno di riforma del processo penale! Il governo ha recepito tale esigenza ma ha ipotizzato, dopo il processo di primo grado, una sorta di prescrizione processuale per costringere i giudici di secondo e terzo grado ad accelerare il corso dei relativi giudizi. Mi sembra la classica soluzione di compromesso per salvare la faccia di quanti hanno voluto la riforma Bonafede. Ed infatti, resterebbero in piedi gli strascichi civilistici costituiti dalle richieste risarcitorie delle vittime dei presunti reati. Inoltre l'improcedibilità renderebbe definitiva la sentenza di primo grado, magari in barba al principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza.

 

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