Annalisa Chirico e i referendum sulla giustizia: l'unico modo per spazzare via Bonafede e i cattivi magistrati
Per un istante trasferiamoci in Campania, non solo per la visita del premier Mario Draghi e del Guardasigilli Marta Cartabia presso il carcere di Santa Maria Capua Vetere, ma anche perché dalla Campania arrivano due storie emblematiche. A gennaio è stato assolto con formula piena un imprenditore aversano accusato di gestire due sale bingo in società implicate con esponenti del clan Russo, costola dei Casalesi. L'assoluzione è giunta a sette anni dall'apertura dell'inchiesta, il fratello dell'imprenditore, anche lui inquisito e arrestato, non ha potuto apprendere la notizia perché, nel frattempo, si è tolto la vita in cella. È andata meglio a un 47enne napoletano che, a dicembre dello scorso anno, è stato tradotto in carcere per scontare una condanna definitiva per reati commessi nel 1999. Ventuno anni per assicurare alla giustizia una persona che ha violato la legge, ma nel frattempo ha cambiato vita, svolge un lavoro onesto, si è sposato, ha avuto due figli.
Siamo all'anno zero della giustizia italiana: un sistema ingiusto e inefficiente, a macchia di leopardo (città che vai, giustizia che trovi), incapace di garantire certezza della legge e prevedibilità delle decisioni giudiziarie, requisiti indispensabili per attrarre investimenti. In un Paese dove un sindaco riceve un avviso di garanzia per un incidente a scuola, i giornalisti finiscono in carcere per diffamazione e gli impiegati pubblici sono di fatto inamovibili, i magistrati godonodi un regime speciale di "responsabilità" che li rende una casta di quasi intoccabili. Quando c'è da valutarne l'operato e le progressioni in carriera, a giudicare i magistrati sono altrettanti magistrati. E che dire del processo penale, irretito in un ibrido che non è né rito accusatorio né rito inquisitorio, un punto di mezzo che amplia a dismisura le prerogative della pubblica accusa? Oltre un terzo della popolazione detenuta è in regime di custodia cautelare: presunti innocenti finiti in cella nelle more di un procedimento che in molti casi si concluderà con un'assoluzione. La carcerazione preventiva è diventata un'anticipazione di pena. Eppure, dalle statistiche ufficiali si apprende che il 40% dei procedimenti in primo grado termina con un'assoluzione: le risorse degli uffici giudiziari vengono destinate, per mesi e anni, a vicende che si riveleranno un buco nell'acqua.
Oggi c'è uno strumento per dire basta: ogni cittadino può recarsi a un banchetto di Lega e Radicali per firmare a favore dei sei referendum sulla giustizia. Se vuoi cambiare le cose, devi far sentire la tua voce. L'iniziativa è meritoria perché accende i riflettori sul manicomio giustizia, torna a evidenziare un'urgenza che tocca la vita di milioni di italiani. A chi non è capitato di perdere tempo e soldi in una vicenda giudiziaria? Anche una lite bagatellare ti toglie la serenità. E se non ci è capitato direttamente, conosciamo almeno un amico o un familiare che maledice il giorno in cui è entrato per la prima volta in un tribunale. I referendum non minano l'attività di governo, al contrario potranno rafforzare l'impegno del premier Draghi e delle forze politiche in Parlamento per una riforma efficace e incisiva. Il rischio infatti è quello di un compromesso al ribasso, di una "riformicchia", per dirla con Marco Pannella. Non fa ben sperare il fatto che due proposte della commissione Lattanzi - l'inappellabilità delle sentenze di assoluzione e il potere in capo al Parlamento di fissare le priorità dell'azione penale - siano state cancellate per il niet del M5S. All'Italia non serve un'operazione di maquillage, ma il coraggio del cambiamento. Ogni cittadino cheapporrà la firma in calce ai sei quesiti referendari sarà parte di un grande movimento popolare: darà voce a se stesso, a chi non ce l'ha, a chi attende giustizia e a chi crede nel futuro di un Paese più giusto e competitivo.