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Carlo Nordio punta il dito contro una "magistratura decrepita: giudici alle corde, agire ora o mai più"

Carlo Nordio  

Pietro Senaldi
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Instancabile lottatore. L'ex procuratore Carlo Nordio da sempre è insofferente alle dinamiche del suo mondo, del quale ha denunciato le storture molto prima di Palamara e con la credibilità, rispetto all'ex capo dell'Anm, di chi non ha mangiato nel piatto delle mele marce. La sua battaglia va avanti da tempo, ma mai come oggi il magistrato ha confidato nel successo finale.

Procuratore, come mai la vediamo in trincea, impegnatissimo in favore dei referendum di Lega e Radicali sulla giustizia?
«Perché questo è il momento giusto, per la prima volta da tangentopoli, per dare uno scossone a una giustizia decrepita. Sulla necessità di queste riforme insisto da oltre vent' anni: mentre ero in servizio ero considerato un eretico o un disfattista, ora vedo che gran parte dei giuristi e dell'opinione pubblica condivide le mie idee. Sono contento e motivato».

Se non ora quando, parafrasando slogan di altre battaglie?
«È un treno che non si può perdere. Fino ad ora le riforme sono state paralizzate dallo strapotere della magistratura e dall'ignavia della politica. Ora il governo, pur avendo come ho detto un limitato potere, ha un grande prestigio, e soprattutto è inamovibile. Inoltre la magistratura è crollata nella credibilità, e non può più condizionare la politica come ha fatto fino a ieri».

Un quesito del referendum è la separazione delle carriere tra giudici e pm. Da ex procuratore, perché è favorevole?
«Perché la separazione è consustanziale al processo penale accusatorio, cosiddetto alla Perry Mason, che abbiamo adottato nel 1988. In tutto il mondo anglosassone le carriere sono separate, per evitare un'irragionevole confusione di ruoli. Per di più, da noi il pm è un mostro di potenza: gode delle garanzie del giudice ma è anche capo della polizia giudiziaria e monopolista dell'azione penale. È l'unico organo al mondo, con un grande potere senza responsabilità».

 

 

Un magistrato che sbaglia deve pagare per i propri errori?
«Un magistrato inetto, incapace o peggio ancora in malafede non va colpito sul portafoglio, ché tanto è assicurato. Va punito nella carriera, e cacciato dalla magistratura».

Non ritiene che i referendum siano un di più e che la riforma Cartabia sia sufficiente per combattere i mali della giustizia?
«La riforma Cartabia è il cosiddetto minimo sindacale per ottenere i finanziamenti europei. Lei è il miglior Guardasigilli dai tempi di Gonella, ma non può far molto perché le riforme le fa il Parlamento, che è dominato da un maggioranza retriva e giacobina. Anche se credo che, per ragioni di sopravvivenza, i grillini si adegueranno alle proposte, importanti ma non certo risolutive, del governo».

Che giudizio dà della riforma, che per non abolire la prescrizione ha introdotto il principio metagiuridico dell'improcedibilità?
«È un compromesso escogitato per non umiliare i grillini. Non potendo incidere sulla prescrizione voluta da Bonafede, si punta a estinguere non il reato ma il processo. Se non è zuppa, è pan bagnato. Il risultato è accettabile, perché comunque il cittadino non starà in eterno sulla graticola giudiziaria. Personalmente avrei preferito una soluzione più lineare: mantenere bassi i termini della prescrizione, ma farli decorrere non dalla commissione del reato ma dall'esercizio dell'azione penale. Comunque, per ora, questo è il massimo che si potesse ottenere».
 

A cosa è dovuto il tracollo di credibilità della magistratura?
«Il tracollo è dovuto a mille cause remote. Ma la causa prossima è stato lo scandalo di Palamara e quello, assai più grave anche se se ne parla poco, di Milano e della consegna illegittima di verbali secretati. Il Consiglio Superiore della Magistratura fa finta di nulla, ma i cittadini queste cose le intuiscono».

Palamara sostiene che dopo la sua cacciata nulla sia cambiato, se non che l'Associazione Nazionale Magistrati si è spostata ancora di più a sinistra...
«Più che l'Anm, è il Csm che si è spostato a sinistra, perché alcuni dei suoi membri moderati sono stati invitati o costretti alle dimissioni, in quanto le loro chat con Palamara erano state sapientemente divulgate. Ma Palamara non ha parlato solo con loro. Bisogna domandarsi perché le altre siano state omesse, o addirittura siano andate perdute. Ma è un canto del cigno. Se il referendum passa, il Csm cambierà radicalmente, e prima o dopo arriveremo al sorteggio, unica vera riforma efficace per eliminare la degenerazione correntizia».

 

 

Si avvererà la profezia del radicale Massimo Bordin, secondo il quale i magistrati finiranno per arrestarsi tra loro?
«No. I più, cioè i bravi e gli onesti, spereranno in una riforma che li affranchi dallo strapotere delle correnti. Gli altri attenderanno che passi la nottata. Ma quando si sveglieranno, se il referendum avrà vinto, vedranno un'alba diversa».

Da magistrato, come mai sostiene la supremazia della politica sul potere giudiziario?
«Perché prima di essere un magistrato sono un cittadino. E in democrazia il potere appartiene agli elettori, non ai magistrati».

Si dice che solo una piccola parte dei magistrati sia politicizzato: perché gli altri non si ribellano?
«La maggior parte dei magistrati pensa a lavorare; non si ribella perché sa che, se alza troppo la testa, entra nel libro nero dei vertici associativi. Questo non compromette la carriera economica, che è automatica, ma impedisce di ambire a qualche carica importante».
Sarebbe auspicabile un ripensamento dell'azione penale obbligatoria, con un'indicazione delle priorità che i pm devono seguire?
«L'azione penale obbligatoria è incompatibile con il nostro processo accusatorio introdotto da Vassalli. Ma d'altra parte è prevista dalla Costituzione. Avrebbero dovuto coordinare i due testi. Comunque, se deve esserci un indirizzo sulle priorità da seguire nelle indagini, questo dovrebbe essere conferito al Parlamento, che se ne assume la responsabilità politica».

L'influenza delle toghe sulla politica segue un disegno preciso?
«La magistratura più conservatrice vedrà sempre un nemico in chiunque voglia le riforme: Berlusconi, Salvini, Renzi. Con Salvini si è toccato il fondo: assolto di qua e rinviato a giudizio di là per fatti identici. Anche se la colpa maggiore è stata del Parlamento: ha preso due decisioni opposte solo perché era cambiata la maggioranza. Una prostituzione della giustizia che mi ha disgustato».

 

Alla fine Berlusconi è stato vittima delle toghe o di se stesso?
«Berlusconi è stato vittima di entrambe le cose. L'informazione di garanzia notificata a mezzo stampa a Napoli è stata una gravissima violazione di legge, ma nessuno ha mai indagato sui responsabili depositari del segreto violato. Quando però Berlusconi ne ha avuto la possibilità, invece di agire con riforme serie e organiche ha perso tempo con leggi personali, oltretutto inutili per le sue vicende. Una grande occasione perduta».

A proposito di politica, lei ha attaccato la legge Zan: cosa non la convince?
«Da qualsiasi aspetto la si guardi, tecnico, lessicale, sistematico, per non dire etico, la legge Zan è un pasticcio colossale. Per di più è scritta in pessimo italiano, il che la rende oscura e suscettibile di varie interpretazioni. Portata in tribunale creerebbe enormi problemi. Vulnera il Concordato, al quale siamo vincolati dalla Costituzione. La Santa Sede ha ragione nel sollevare obiezioni. E ancora, non mi convince perché vulnera i principi di tassatività, legalità e specificità che costituiscono la struttura della fattispecie di reato. Questo aspetto è stato fatto presente in Commissione da quasi tutti i giuristi. Ma dubito che i grillini li abbiano capiti. Quanto al Pd lo ha capito benissimo, ma il suo è un ragionamento solo politico».

Ritiene che sia necessaria una tutela rafforzata dei gay e delle minoranze?
«Le tutele che già ci sono bastano e avanzano. Io sono il primo a sostenere che chi offende la sessualità altrui è un grossolano cialtrone: ma va trattato come tale, con l'ironia e la polemica civile, non con il carabiniere e il magistrato».

I difensori della legge Zan sostengono si tratta di un'estensione della legge Mancino contro il razzismo e l'odio religioso...
«La legge Mancino aveva una forte connotazione politica, per quei tempi anche giustificata. Ma per conto mio anch' essa è superata. Le opinioni si combattono con le opinioni, non con la galera».

Quindi per lei i reati d'opinione non sono mai giustificabili?
«No. Tra l'altro, c'è una contraddizione palese. Per combattere la discriminazione, la legge Zan introduce una discriminazione ancora più feroce, perché vuole sbattere in prigione i discriminatori. Combatte l'intolleranza con un'intolleranza ancor più severa».

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