Marco Travaglio e Piercamillo Davigo, gli sconfitti da Marta Cartabia: "Schiforma" e "salvaladri"? Come rosicano...
L'efficacia di una riforma si misura dall'isteria dei suoi nemici: se così fosse, Marta Cartabia sarebbe a posto. Marco Travaglio, che scomodiamo sempre perché fa sempre comodo, sembra letteralmente impazzito e continua a vergare i suoi articoli in stile «forca for dummies». Pier Camillo Davigo, pure lui, non fa che vergare articolesse in cui spiega tecnicamente e risolutamente, col suo stile, perché qualsiasi cambiamento introdotto dalla Guardasigilli non andrà bene. Mentre, scendendo di calibro, Alfonso Bonafede - il più imbarazzante ministro della giustizia dall'Olocene in poi - esprime al meglio ciò che ha sempre sostenuto: un mugugnoso niente. Intanto Mario Draghi non segue i consigli del Fatto Quotidiano (non sa che esiste, forse) e tratta la riforma della giustizia come qualsiasi altra, senza che intanto si cappòttino ministri, saltino governi e la gente scenda in piazza: a parte quelli che sono scesi in piazza per firmare i referendum sulla giustizia. «Lo vuole l'Europa», pare abbia detto Draghi, che poi chi se ne frega: èche lo vuole l'Italia, o così pare. Però è anche vero: i soldi del Recovery fund e del Piano di ripresa e resilienza (Pnrr) arriveranno solo se i tempi saranno tagliati come chiede Bruxelles.
Ciò che l'Europa tace sulla magistratura italiana: sono le toghe più pagate di tutto il continente
PROTESTE INUTILI
Dunque niente rinvii, e delle proteste grilline (e associati) chi se ne frega. Non si sa molto, ma si sa che anzitutto faranno esplodere l'abolizione della prescrizione che piace ai Travaglio-Davigo-Bonafede, con una magistratura in grado di tenerti sotto scacco a vita e di commisurare i tempi della giustizia secondo i comodi propri. Marta Cartabia, di facciata, ha ovviamente mediato con tutti: ma coi grillini, on sostanza, no. Ha già deciso che la prescrizione si sospenda dopo il primo grado, mache, nel resto del processo, si debba rispettare una tempistica ben definita tipo due anni per l'appello e uno per la Cassazione. Bonafede sta facendo casino, ma il partito è senza guida (capirai la differenza) e la riforma procede. Che i Cinque Stelle possano astenersi, o votare contro, non viene considerato un problema. Di Alfonso Bonafede non sapremmo che altro dire. Ha cercato di coinvolgere un po' di parlamentari (suoi) ma nelle commissioni giustizia non è riuscito neanche in questo. Neppure i ministri (suoi) sono favorevoli. Dovrà rassegnarsi a una riforma che Draghi ha promesso alla Commissione europea entro il termine di luglio, col solo «difetto» di voler rientrare entro i limiti della Costituzione: occorre vedere se basterà.
Neppure di Marco Travaglio sapremmo più che dire: ha rispolverato tutto il repertorio («impunità ai criminali ricchi e giustizia negata alle vittime») ma con tonalità in minore, come stanco anche di se stesso. Ieri ha azzardato un parallelo tra la riforma Cartabia, «presentata mentre l'Italia è distratta dagli Europei», al Decreto Biondi che cercarono di approvare nel 1994, «mentre l'Italia era distratta dai Mondiali». Vedremo se Travaglio porterà sfiga anche stavolta. Per lui il Cartabia e il Biondi sono comunque «salvaladri», e il suo argomentare è di questo genere: senza contare l'escrementizio tentativo di collegare il nome della Cartabia alla mafia per via di una lettera giunta in via Arenula con la firma di un boss incarcerato, una delle migliaia di lettere che ogni ministro della giustizia riceve dagli istituti di pena. Sul Fatto Quotidiano (ecco perché ci fa comodo: sono tutti riuniti lì) verga una pagina settimanale anche Pier Camillo Davigo, curiosamente in sintonia copiativa (lui è l'originale) con quanto espresso in varie forme da Bonafede e Travaglio. Sul Fatto di giovedì, l'ex magistrato ha scritto un articolo proprio sulla «Perversione della prescrizione» (è il titolo) e le soluzioni che propone, dopo aver ammesso il disastro della durata dei processi, sono essenzialmente due: una contro gli avvocati (e i loro assistiti) e un'altra contro gli assistiti (e i loro avvocati). I legali sono colpevoli di «attivitaglilatorie e proposizione di impugnazioni manifestamente infondate», come dice da anni; una riforma delle impugnazioni a dir il vero è prevista, ma «non sembra idonea a ridurre sensibilmente il carico di lavoro».
RESPONSABILITÀ
Capito. Che fare? Bisogna fare come in Francia, dove «non esiste il divieto di reformatio in pejus che opera in Italia», ossia l'impossibilità di incorrere in aggravi di pena dopo aver fatto ricorso ai gradi successivi. Per i ricorsi in Cassazione infondati, a dir il vero, anche in Italia è prevista una sanzione pecuniaria: ma è solo di 2.000 euro, troppo poco. Nota: problemi e soluzioni, secondo Davigo, non contemplano difetti o errori o, insomma, posture sbagliate da parte della magistratura. Dei problemi della giustizia, i magistrati, non hanno nessuna responsabilità. Dettaglio oggettivo: non ci crede più nessuno.