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Paola Ferrari insultata da Mino Raiola: "Porca putt***, ma vattene affan***". Ma se la donna è di destra non c'è reato

 Paola Ferrari

Gianluca Veneziani
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Ahi ahi ahi. Se sei donna e sei di destra, ti possono offendere senza pagarne le conseguenze. Se ti chiami Paola Ferrari, sei una giornalista sportiva, sei stata candidata in passato con La Destra e non sei aggregata alla cricca tv radical-chic, non godrai della tutela della magistratura, anche se ti becchi un Vaffa e insulti vari da parte di uomo potente. Sarai tu, anzi, a dover pagare le spese processuali, come risulta dalla sentenza del tribunale civile di Roma che discolpa il procuratore sportivo Mino Raiola dall'accusa di diffamazione ai danni della giornalista. La Ferrari, il 16 giugno 2017, aveva commentato su Twitter le trattative con cui il portiere del Milan Gianluigi Donnarumma, tramite Raiola, stava temporeggiando nel rinnovare il contratto pur di ottenere un compenso più alto. «Donnarumma non dovrebbe indossare la maglia della Nazionale per un anno», aveva tuonato la Ferrari. «Codice Etico? Quale peggior esempio di chi tradisce per i soldi?». E poi: «Chi indossa la maglia della Nazionale deve essere un esempio per i giovani e lui non lo è più». Due giorni dopo Raiola, in conferenza stampa, aveva replicato così alla Ferrari: «Ho sentito una giornalista importante della Rai dire che Gigi dovrebbe essere tolto dalla Nazionale per un codigo (sic!) etico, perché si è venduto per soldi, una signora che ha sposato una persona che gestisce uno dei fondi... hedge fund più grandi del mondo». Il riferimento di Raiola era al marito della Ferrari, Marco De Benedetti, imprenditore e corresponsabile del fondo di investimenti Carlyle. Un uomo che, per Raiola, «si sveglia la mattina e pensa ai soldi, va a letto e pensa ai soldi».

 

 

IL «CODICE ETICO»
Altra colpa della Ferrari, secondo l'agente, sarebbe stata quella di non essersi indignata per il lancio di banconote false da parte dei tifosi all'indirizzo del portiere («Che tristezza i dollari lanciati. Ma era prevedibile», aveva detto la Ferrari). Ebbene, secondo Raiola, «è inutile che noi discutiamo di terrorismo e poi non prendiamo distanza di certe cose che ci capitano sotto casa». Da qui l'attacco finale: «Perciò io mi incazzo con quella Paola. Porca puttana, come cazzo ti permetti di dire codigo etico. Tu? Codigo Etico? Ma vattene a fare in culo tu e tutto Carlyle». Per queste frasi la Ferrari aveva portato Raiola in tribunale, ritenendole «chiaramente diffamatorie» in quanto egli «aveva affermato che la giornalista si sarebbe venduta e sposata per soldi, che bisognerebbe prendere le distanze dalle sue parole analogamente a come si prendono le distanze dal terrorismo e che se ne dovrebbe andare a quel paese»; e ravvisando «un danno grave» alla propria reputazione, per il quale chiedeva un risarcimento di 5 milioni di euro da destinare alla Fondazione Stefano Borgonovo per la ricerca sulla Sla.

Il tribunale, nella persona della giudice Valeria Chirico, ha «rigettato» la domanda risarcitoria della Ferrari, non reputando «le dichiarazioni in questione una condotta diffamatoria». È interessante leggerne le motivazioni. La giudice ricomprende le affermazioni di Raiola nel diritto di critica che «può essere esercitato utilizzando espressioni anche lesive della reputazione altrui, purché siano collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato (...) e non si risolvano in un'aggressione gratuita». Quanto al parallelo tra Donnarumma «venduto per soldi» e la giornalista coniugata con un ricco imprenditore, non si tratterebbe di un accostamento offensivo, ma un modo legittimo di evidenziare che il marito della giornalista e Raiola perseguono il «medesimo obiettivo», e cioè la «massimizzazione dei profitti».

 

 

Quanto al paragone con il terrorismo, «tale frase non accomuna» la Ferrari «ai terroristi ma appare semplicemente volta a (...) criticare il suo commento». Ma dove il tribunale si sbizzarrisce è nell'approvazione degli insulti. Per la giudice, «"ma vattene a fare in culo" non costituisce condotta idonea a ledere la reputazione», ma rientra tra quelle «espressioni che, pur volgari, nel contesto di un generale fenomeno di impoverimento del linguaggio edel costume, sono diventate di uso comune», assumendo altri significati: «"vaffanculo" viene impiegata nel senso di "non infastidirmi", "lasciami in pace"» cosicché il Vaffa di Raiola sarebbe servito solo «a porre fine alla querelle, sia pur con maleducata insofferenza». Verrebbe da commentare: ma andate affanculo. Detto con maleducata insofferenza, ovviamente.

 

 

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