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Luca Palamara e il sistema? Il Csm continua a pilotare le nomine dei giudici

Paolo Ferrari
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«Decidi chi va e poi organizziamo il voto! Fai come gli aggiunti a Roma». La frase, pronunciata nel 2017 dal giudice Valerio Fracassi, all'epoca membro del Consiglio superiore della magistratura, è forse la migliore sintesi possibile del funzionamento del 'Sistema' by Luca Palamara. Fracassi, esponente della sinistra giudiziaria, chattando con Palamara, aveva di fatto dettato la linea da seguire, rovesciando quello che dovrebbe essere il normale iter in tema di nomine. Per la scelta dei capi degli uffici giudiziari, in pratica, prima si individuava chi doveva vincere e poi gli si cuciva addosso il curriculum ad hoc. La votazione in Plenum avrebbe, poi, ratificato l'attività "sartoriale" posta in essere dai capi delle correnti. A distanza di qualche anno da allora chi pensa che fatto fuori Palamara Palazzo dei Marescialli abbia cambiato rotta, tornando alla "legalità", ha sbagliato i conti. Il nominificio togato procede, infatti, a pieno regime. Ed è quanto accaduto con le nomine dei due nuovi procuratori aggiunti a Napoli, Simona Di Monte e Sergio Amato. «Il candidato più idoneo è stato scelto, in totale assenza di confronto, prima della valutazioni comparativa e, successivamente, dopo circa tre mesi, è stata portata in Commissione, già confezionata, una proposta da sottoporre al Plenum in cui la valutazione comparativa è stata calibrata, a prescindere dal merito effettivo, in modo tale da sorreggere la scelta effettuata a monte», scrivono i giudici del Tar del Lazio, certificando così "l'alta sartoria" del Csm. La Procura di Napoli, retta da Giovanni Melillo, già capo di gabinetto di Andrea Orlando (Pd) al Ministero della giustizia, è la più grande d'Italia. Nel 2018 si erano determinate delle scoperture fra gli aggiunti che, a fine 2019, il Csm aveva ripianato scegliendo, appunto, Di Monte e Amato. Contro queste due nomine era stata presentato ricorso dai candidati bocciati, i pm Maria Di Mauro, Claudio Siragusa, Alessandro D'Alessio e Giuseppe Narducci, quest' ultimo noto alle cronache per essere stato assessore alla Legalità nella giunta del sindaco di Napoli Luigi de Magistris. Di Monte è un esponente di Unicost, la corrente di Palamara, fortissima a Napoli, Amato, invece, è un davighiano di Autonomia&indipendenza, il gruppo fondato dall'ex pm di Mani pulite, ora editorialista del Fatto. «La Commissione ha deciso prima il nominativo da proporre, sulla base di inesplicate ragioni, e successivamente ha confezionato la relativa motivazione predisponendo il testo da sottoporre al Plenum», proseguono i giudici del Tar nel provvedimento che l'altro giorno ha bocciato Di Monte e Amato. Oltre ad aver individuato il candidato più idoneo, puntualizzano i giudici amministrativi, «in assenza di confronto tra i componenti della Commissione e prima della valutazione comparativa», quest' ultima «è stata calibrata, a prescindere dal merito effettivo, in modo tale da sorreggere la scelta effettuata a monte». Su quale sia il reale motivo che abbia consentito a Di Monte e Amato, «sulla base di inesplicate ragioni» e «a prescindere dal merito effettivo», di scavalcare concorrenti più titolati dovrà spiegarlo adesso il Csm. Conoscendo le dinamiche di Piazza Indipendenza, che non ammette mai i propri errori, la sentenza del Tar verrà impugnata al Consiglio di Stato, sperando nel 'ribaltone' da parte dei giudici di Palazzo Spada. Nel frattempo, però, i due aggiunti scelti «sulla base di inesplicate ragioni» rimarranno beatamente al proprio posto. 

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