Marta Cartabia, il "Fatto": "Lettera del boss Graviano subito dopo il giuramento". Bomba di fango sulla ministra e su Silvio Berlusconi
Una lettera di Giuseppe Graviano indirizzata a Marta Cartabia, appena diventata ministro della Giustizia nel governo di Mario Draghi. A sganciare la bomba su via Arenula è il Fatto quotidiano, peraltro già schieratissimo a fianco del precedente Guardasigilli, il grillino Alfonso Bonafede. Secondo quanto riportato dal quotidiano diretto da Marco Travaglio, il boss di Cosa Nostra avrebbe preso carta e penna una decina di giorni dopo il giuramento dei ministri lo scorso 13 febbraio. "Impossibile conoscere il contenuto della missiva" del boss del Brancaccio, sottolinea il Fatto, "visto che l'ordinamento penitenziario non prevede il controllo della corrispondenza dei detenuti quando questi si rivolgono ad autorità come il capo dello Stato o il ministro della Giustizia". Ma è sufficiente alla redazione per avanzare dubbi e sospetti e chiedere a gran voce che quella lettera venga "divulgata dalla stessa Cartabia, in modo da chiarire anche tre interrogativi".
Eccole, le tre domande del Fatto per la ministra: "Era a conoscenza della missiva a lei indirizzata dall'uomo condannato per le stragi di Roma, Milano e Firenze del 1993? Ha mai risposto? Lo hanno fatto i suoi uffici senza farglielo sapere?". Graviano già nel 2013 aveva scritto alla ministra della Salute Beatrice Lorenzin nel 2013 (governo di Enrico Letta) citando la "provenienza dei capitali per formare il patrimonio della famiglia Berlusconi" e "auspicando il coraggio di qualche politico per abolire la pena dell'ergastolo", ricorda sempre il Fatto.
Nel 2020 sempre Graviano, al processo Ndrangheta stragista, assicurava: "Il ministero mi ha risposto che stava portando avanti tutto quello che avevo chiesto. Io avevo quella lettera, ma è scomparsa quando mi hanno trasferito ad Ascoli nel 2014". Come sempre quando si parla di boss, Cosa Nostra e pentiti, il confine tra verità, millanteria e fango è talmente labile da diventare indistinguibile. Ma il caso serve al quotidiano di Travaglio per spalare un altro po' di melma proprio su Silvio Berlusconi: "Il 31 agosto del 2013 si era fatto fotografare mentre firmava i referendum dei Radicali sulla giustizia: tra i 12 quesiti c'era anche l'abolizione dell'ergastolo. La soglia delle 500mila sottoscrizioni, però, non venne poi raggiunta. Otto anni dopo Forza Italia è tornata per la prima volta al governo. E Graviano ha scritto subito a un'esponente dell'esecutivo". Alla vigilia, nota sibillino il Fatto, "della sentenza della Consulta, che nell'aprile scorso ha decretato l'incostituzionalità della legge sull'ergastolo ostativo. Se il Parlamento non approva una nuova norma entro il maggio dell'anno prossimo, anche i boss irriducibili potranno sperare di ottenere la libertà vigilata dopo 26 anni di pena: non servirà aver mai collaborato con la giustizia, ma basterà dare prova di non essere più pericolosi".
E pazienza se sul caso molti esperti smentiscano "l'automatismo" sulla scarcerazione dei boss e che lo stesso Niccolò Ghedini, storico avvocato del Cav, abbia definito "palesemente diffamatorie" le dichiarazioni di Graviano. Un'altra coincidenza che Travaglio e soci lasciano intendere come "sospetta"? Il fatto che la Cartabia, da presidente della Corte costituzionale, nel 2020 avesse definito "di particolare rilievo" la sentenza che ha dichiarato illegittimo il divieto di concedere benefici agli ergastolani condannati per mafia che non si fossero pentiti.