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Matteo Salvini" in pressing", i giudici lo sfidano: indiscrezioni dalle sacre stanze. Siluro sulla Lega?

Stefano Re
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La prima scossa è arrivata. Ne seguiranno altre. L'epicentro sono i referendum sulla giustizia proposti da Radicali e Lega, per i quali il Carroccio raccoglierà le firme nei mesi di luglio e agosto, con l'obiettivo di raggiungere quota sei milioni (un milione per quesito, il doppio del necessario). E un risultato Matteo Salvini l'ha appena ottenuto: la dura reazione di Magistratura democratica, la corrente rossa delle toghe, che ora lo considera il nemico numero uno, titolo per anni appartenuto a Silvio Berlusconi (almeno sotto questo aspetto, la successione è cosa fatta). La colpa principale del segretario leghista è usare i referendum come arma politica, per ridefinire i rapporti all'interno della maggioranza (sottinteso: a scapito del Pd e delle altre sigle di sinistra). Questa, almeno, è una delle accuse lanciate al suo indirizzo da Questione Giustizia, la rivista delle toghe rosse, secondo cui l'istituto referendario viene «messo in campo» dall'ex ministro dell'Interno «per sovrapporre i suoi obiettivi all'indirizzo politico di maggioranza o per alterarlo e condizionarlo dall'esterno». Non solo: per abrogare la legge Severino, obiettivo di uno dei sei quesiti, verrebbe cancellato l'intero Testo unico in materia di incandidabilità, al cui interno sono le norme che impediscono di candidarsi a «mafiosi, terroristi, rei di fatti di corruzione e di altri gravi reati, che siano stati condannati in via definitiva». Se il referendum avesse successo, insomma, i criminali appartenenti a certe categorie, una vol ta scontata la detenzione, potrebbero candidarsi. Per questi ed altri motivi, Magistratura Democratica sostiene che i referendum abbiano una «natura ingannevole» e si augura che cadano «sotto la scure dell'inammissibilità» in seguito al verdetto che dovà dare la Corte Costituzionale.

 

 

I PENALISTI
Molto diverso il parere che, sugli stessi referendum, danno gli avvocati penalisti. La lo ro opinione è infatti positiva, anche se ritengono un errore il fatto che l'iniziativa sia stata blindata da Lega e Radicali, escludendo «ogni forma di confronto con l'Unione delle Camere penali». Gli avvocati, in altre parole, lamentano di non aver partecipato alla stesura dei quesiti, che avrebbero scritto differentemente. Quello per la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, in particolare, a causa del modo in cui è stato formulato, «non potrà produrre altro che una blanda accentuazione della cosiddetta separazione delle funzioni». Servirebbe tutt' altro, avvertono, ossia «concorsi separati, organi di autogoverno separati, scuole di formazione separate». Novità, queste, previste dalla proposta di legge di iniziativa popolare scritta dalla stessa Unione delle Camere penali; proposta che ora, a causa del referendum, «vede aggravarsi il rischio di un suo accantonamento, da molti auspicato».

 

 

Ciò nonostante, i penalisti credono che «il coinvolgimento diretto dei cittadini sui temi della giustizia penale e della sua amministrazione» possa «rappresentare una felice occasione per sollecitare la politica ed il parlamento a recuperare forza ed indipendenza su quei temi cruciali». Anche se non sono sufficienti a delineare una riforma completa della giustizia (cosa che gli stessi promotori riconoscono, peraltro), i quesiti hanno quindi il pregio di spingere ministri ed eletti dal popolo a varare in tempi rapidi un intervento complessivo e coerente. Sempre - s' intende - che l'altolà di Magistratura democratica non li intimidisca tutti.

 

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