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Processo Eni, Dagospia: "I pm De Pasquale e Spadaro indagati a Brescia per rifiuto di atti d'ufficio". Il caso del video nascosto alla difesa

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Secondo quanto riporta Dagospia, i pm Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro sarebbero indagati a Brescia. "L'ipotesi di reato è rifiuto di atti d'ufficio". La vicenda quella del processo Eni: De Pasquale avrebbe scartato un video fondamentale per la difesa degli imputati, difendendosi spiegando che quel video non gli sembrava rilevante. Di seguito, l'articolo pubblicato da Libero oggi, giovedì 10 giugno.


Un personaggio spregiudicato che «utilizza gli strumenti processuali per finalità personali, arrivando a orchestrare un impressionante vortice di falsità di cui, infine, egli stesso ha perso il controllo». È la descrizione che il Tribunale di Milano ha fatto di Vincenzo Armanna, le cui dichiarazioni sono state in questi anni alla base dell'impianto accusatorio del maxi processo Eni-Nigeria. Il collegio, presidente Marco Tremolada, a latere Mauro Gallina e Alberto Carboni, nelle circa 400 pagine della sentenza, depositata ieri, con cui ha assolto i vertici dell'Eni, ha umiliato la Procura milanese. Il procedimento riguardava la più grande tangente mai pagata, oltre un miliardo di euro, per la concessione di un ricchissimo giacimento petrolifero, l'Opl 245, situato al largo delle coste del delta del Niger, nel sud della Nigeria. La prima assegnazione della licenza del suo sfruttamento risaliva al 1998. Eni entrerà nella partita dieci anni più tardi, secondo il procuratore aggiunto Fabio De Pasquale, pagando questa super mazzetta. Alla trattativa con i nigeriani partecipa Armanna, allora dirigente dell'Eni incaricato delle nuove acquisizioni. Verso la fine di maggio del 2013 Eni, però, decide di licenziarlo bruscamente dopo avergli contestato spese non autorizzate per 300 mila euro. Passa poco più di un anno ed il 30 luglio del 2014 Armanna si presenta in Procura a Milano per rendere dichiarazioni contro Eni ed i suoi dirigenti. A settembre del 2014 l'amministratore delegato del cane a sei zampe Claudio Descalzi viene iscritto nel registro degli indagati. De Scalzi rilascia un'intervista nella quale proclama la propria estraneità alle accuse. Il 7 ottobre 2014 anche Armanna rilascia un'intervista in cui rivela gran parte delle circostanze oggetto della sua denuncia del 30 luglio. Armanna viene sentito più volte in Procura e a maggio del 2016 fa pervenire una memoria nella quale ridimensiona in maniera significativa le accuse a Descalzi. Quando il pm gli chiede di spiegare le ragioni del suo atteggiamento "ondivago", Armanna rivela di essere stato avvicinato dall'Eni tramite l'avvocato Piero Amara, il quale gli avrebbe proposto di ritrattare le accuse verso Descalzi «in cambio della promessa di una futura riassunzione nella compagnia petrolifera». Gli era stato anche chiesto se poteva eliminare le accuse di corruzione ed il testo sarebbe stato preparato proprio dagli uffici di Descalzi. All'udienza del 23 luglio 2019 il colpo di scena: il difensore di uno degli imputati fa presente che in altro procedimento fra gli atti depositati dalla Procura vi era un verbale della guardia di finanza in cui si dava atto dell'esistenza di una videoregistrazione effettuata in maniera clandestina da Amara. Oggetto della registrazione l'incontro del 28 luglio 2014 tra lo stesso Amara, Ar manna, ed alcuni faccendieri, nei locali del manager Ezio Bigotti, uno dei protagonisti del "Sistema Siracusa", il sodalizio nato per corrompere i giudici e pilotare i processi.


SPALLE AL MURO - Il pm, messo con le spalle al muro, conferma di essere in possesso del documento già da tempo, ma aggiunge di non averlo né portato a conoscenza delle difese né sottoposto all'attenzione del Tribunale perché ritenuto «non rilevante». Di diverso avviso il Tribunale, secondo cui il documento è di estrema importanza per apprezzare le intenzioni che animavano Armanna quando si è presentato in Procura il 30 luglio 2014. Armanna vedeva come ostacolo ai suoi progetti il nuovo management in Nigeria e nella registrazione si sente chiaramente che vuole adoperarsi per «fargli arrivare un avviso di garanzia». Armanna, in pratica, aveva interesse a «cambiare i capi della Nigeria» per sostituirli con uomini di suo gradimento ed essere così agevolato negli affari. Lo strumento per attuare questo piano era gettare discredito sulle persone giudicate di ostacolo e, appunto, «far arrivare loro un av viso di garanzia». Risulta quindi, scrive il Tribunale, «incomprensibile la scelta del pm di non depositare fra gli atti del procedimento un documento che, portando alla luce l'uso strumentale che Ar manna intendeva fare delle proprie dichiarazioni e della auspicata conseguente attivazione dell'autorità inquirente, reca straordinari elementi in favore degli imputati». I pm si giustificano affermando che il documento mostrerebbe soltanto un lato «spaccone» e innocuo di Armanna. Il Tribunale a questo punto mette l'elmetto e decide di usare la vanga: «Senza tornare sulle numerose disparità di trattamento rilevate in ordine alla selezione dei soggetti indagati, per comprendere l'importanza della registrazione occorre saper leggere il linguaggio ricattato rio di chi preannuncia il proposito di rendere».

IL VERO SCOPO - E poi: «L'intenzione manifestata era quella di gettare un alone di illiceità sulla gestione da parte di Eni dell'acquisizione della concessione petrolifera, in modo da ottenere - attraverso l'intervento di Amara - l'allontanamento dalla Nigeria di coloro che avevano partecipato al negozio, sostituendolo con qualcuno di più accomodante verso la conclusione dell'affare in corso». Gli affari perseguiti da Ar manna in Nigeria nel periodo in esame non sono mai stati oggetto di alcuna indagine. Il contenuto del documento registrato appena due giorni prima della presentazione in Procura è, prosegue il Tribunale, «dirompente in termini di valutazione dell'attendibilità perché rivela che Armanna, licenziato dall'Eni un anno prima, aveva cercato di ricattare i vertici della società petrolifera preannunciando l'intenzione di rivolgersi ai pm milanesi per far arrivare 'una valanga di merda ai dirigenti apicali della compagnia». Fine della storia. 

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