Mentre le Cancellerie occidentali parlano di tensioni, Milorad Dodik parla di resistenza. Il Presidente della Repubblica Srpska, attualmente al centro di una dura campagna giudiziaria e politica, non intende arretrare. Le accuse mosse da Sarajevo – che includono una condanna a un anno di carcere e un mandato d'arresto – non hanno scalfito la sua determinazione. “Difendo la pace, la legalità e il diritto del mio popolo a non essere governato da leggi imposte dagli stranieri”, afferma senza esitazione in diverse interviste concesse recentemente a media internazionali.
Per Dodik, il processo in corso è il simbolo di una crisi più ampia di sovranità e democrazia. “Vogliono incarcerare chi non gli piace, come hanno fatto per secoli con i serbi”, sottolinea. “Hanno portato uno straniero senza mandato – che si spaccia falsamente per Alto Rappresentante – il quale impone leggi illegittime, e poi ci accusano di crimini per non averle accettate. Questa sarebbe la loro idea di stato di diritto?”
Dodik difende la Costituzione della Bosnia-Erzegovina sancita dagli Accordi di Dayton del 1995, un patto che ha garantito la pace dopo una sanguinosa guerra. Ma, secondo lui, oggi è proprio quell’accordo a essere calpestato da Sarajevo con l’approvazione di Bruxelles, e prima dell’Amministrazione Biden. “Dayton prevede solo 9 competenze statali. Il resto è frutto di imposizioni e invenzioni. Noi difendiamo semplicemente ciò che è stato firmato, non imponiamo un nuovo ordine.”
Il Presidente ribadisce che si tratta di una legittima autodifesa: “Non stiamo distruggendo la Bosnia. Stiamo smascherando la falsa Bosnia, costruita sulla coercizione e l’illegalità. Vogliamo che siano rispettati le entità nazionali, le identità e la legittimità costituzionale.”
L’accusa di “colpo di stato” avanzata da Sarajevo, per Dodik è una farsa: “Per parlare di colpo di stato, dovrebbe esistere uno Stato legittimo. Quello che oggi esiste è un apparato inventato da burocrati stranieri.”
Dodik prosegue: “La voce della Repubblica Srpska nei media di massa è silenziata, perché l’Occidente ha costruito una narrazione tossica, criminalizzando i serbi e ignorando la responsabilità di chi ha causato la catastrofe in Bosnia. È una persecuzione mascherata da giustizia."
Il Presidente della Repubblica Srpska denuncia un attacco sistematico contro i leader non allineati: “Accade in Germania con AfD, in Francia con Marine Le Pen, in Romania, è accaduto negli Stati Uniti con Trump. Se sei un patriota, se hai il popolo dalla tua parte, ti eliminano con processi esemplari. Nemmeno i comunisti ortodossi si comportavano così.”
Dodik rivendica il sostegno di forze politiche internazionali che, come lui, si oppongono al globalismo tecnocratico: “Abbiamo ottimi rapporti con il Primo Ministro ungherese Viktor Orbán, con l’Italia, con il Premier Netanyahu in Israele, con i Patrioti per l’Europa. Sono leader che non si inginocchiano davanti alle élite di Bruxelles.”
E poi c’è la Russia. Il Presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin, ha confermato che la Russia è garante degli Accordi di Dayton. “Il Presidente Putin difenderà la verità al Consiglio di Sicurezza dell’ONU” afferma Dodik,
Il recente incontro con Rudy Giuliani, ex sindaco di New York e amico di Donald Trump, ha rafforzato il suo legame con il mondo conservatore americano: “Giuliani è venuto a Banja Luka per mostrare solidarietà. Condividiamo la stessa battaglia: liberarci degli strascichi dell’arroganza dell’ex amministrazione Biden, la peggiore della storia americana che ha causato danni anche qui.”
Sul piano interno, Dodik non si limita alla difesa. Invoca l’unità serba: “I serbi devono unirsi attorno alla Repubblica Srpska. È la nostra unica possibilità per vivere con dignità. Le nostre istituzioni sono forti e legittime: parlamento, governo, polizia. Nessuno può distruggerci finché restiamo uniti.”
E che dire della possibilità di arresto? “Mi protegge la Polizia della Repubblica Srpska. Ma non è solo un mio problema. Vogliono colpire tutto il nostro governo, tutti quelli che hanno osato dire no a un sistema imposto.”
Dodik tende la mano anche ai croati in Bosnia-Erzegovina: “Anche loro sono danneggiati. Non possono nemmeno scegliere i propri rappresentanti. Il dialogo con Čović è possibile. I problemi vengono da Sarajevo, dove ancora domina l’ideologia di Alija Izetbegović e l’islam politico.”
“Non vogliamo il conflitto”, conclude Dodik. “Vogliamo rispetto, equilibrio, legalità. Difendiamo la pace, ma non a costo della nostra libertà.”
In un’epoca in cui la sovranità viene spesso percepita come una minaccia, Milorad Dodik dissente e la difende. Dodik nel cuore dei Balcani continua a sfidare apertamente le regole scritte a Sarajevo o altrove, come dice lui: “per l’orgoglio, l’identità e l’autodeterminazione dei serbi”.