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Confprofessioni lancia l'allarme sui medici di famiglia
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In un contesto in cui il futuro della medicina territoriale è al centro del dibattito, Marco Natali, numero uno di Confprofessioni, esprime forte preoccupazione riguardo alle proposte legislative che mirano a modificare il ruolo giuridico dei medici di medicina generale, allineandosi alla posizione della Fimmg (Federazione Italiana Medici di Medicina Generale).
Secondo Natali, tali interventi non solo non risolverebbero le problematiche del sistema sanitario territoriale, ma rischierebbero di compromettere seriamente l'assistenza medica di prossimità, oggi garantita dai medici di famiglia.
L'attuale assetto, con circa 60.000 studi diffusi capillarmente, anche nelle aree più remote del Paese, rappresenta un modello fondamentale per garantire cure tempestive e accessibili. La proposta di concentrare i medici in 1.350 Case della Comunità, situate prevalentemente nei centri più grandi, rischierebbe di desertificare il ‘territorio sanitario’, penalizzando milioni di cittadini, in particolare anziani e persone con difficoltà di mobilità.
Sul piano economico, il presidente di Confprofessioni sottolinea l'importanza del contributo dei medici di medicina generale come liberi professionisti convenzionati. Questo settore genera un volume d'affari di circa 7 miliardi di euro, che arriva a 16 miliardi considerando l'indotto e le ore di lavoro, come rilevato dal Centro Studi CGIA di Mestre. La chiusura degli studi privati comporterebbe non solo la perdita di questo valore economico, ma anche il licenziamento di almeno 30.000 collaboratori amministrativi e 10.000 infermieri, con gravi ricadute occupazionali e sociali.
Natali evidenzia un ulteriore rischio: il passaggio alla dipendenza potrebbe spingere migliaia di medici verso il pensionamento anticipato, oltre a scoraggiare i giovani che attualmente stanno completando la loro formazione con l'obiettivo di operare come medici convenzionati. Questo scenario potrebbe determinare un vero e proprio collasso dell'assistenza sanitaria territoriale.
Dal punto di vista dei pazienti, l'abolizione del modello fiduciario tra medico e assistito porterebbe a una gestione più burocratica della medicina generale. Si prospetterebbero tempi di attesa più lunghi e una continuità assistenziale affidata a medici sconosciuti, coordinati da call center. La relazione diretta e personalizzata tra medico e paziente verrebbe sostituita da un sistema rigido e impersonale.
“Non serve trasformare i medici in dipendenti - rimarca Natali-ma piuttosto rinnovare e perfezionare l'ACN per migliorare l'integrazione tra gli studi medici e le nuove strutture sanitarie territoriali. Valorizzare l'autonomia dei medici di famiglia - conclude Natali - è fondamentale per garantire ai cittadini un sistema sanitario territoriale efficiente, vicino e fondato sulla fiducia”.
Negli ultimi tempi si è diffusa una narrazione secondo cui i medici di famiglia lavorerebbero soltanto 3-4 ore al giorno, ma il segretario nazionale della Fimmg (Federazione Italiana Medici di Medicina Generale), Silvestro Scotti, ha respinto con fermezza questa visione, definendola completamente falsa e scollegata dalla realtà.
Secondo Scotti, chi sostiene tali affermazioni probabilmente non ha mai frequentato uno studio medico. L'attività quotidiana di un medico di famiglia è molto più complessa e articolata di quanto si possa immaginare: comprende non solo le visite ambulatoriali programmate e urgenti, ma anche visite domiciliari, assistenza nelle RSA, gestione della burocrazia amministrativa, contatti telefonici con i pazienti, diagnostica di primo livello e campagne vaccinali. Tutto ciò porta il carico orario a superare ampiamente le 38 ore settimanali. Per chi assiste meno di 1.500 pazienti, già si prevede di aggiungere un numero crescente di attività oraria che potrà svolgersi nelle case della comunità.
Un recente studio condotto dal ‘Cergas-Bocconi’ ha stimato una media giornaliera di 35 contatti diretti tra medico di medicina generale e pazienti che diventano 70 sommando quelli indiretti. Questi dati confermano l’intensità e la complessità del lavoro svolto da 40mila medici di famiglia oggi.
Per migliorare questa situazione e garantire una migliore assistenza ai pazienti, Scotti ha sottolineato la necessità di investire sull’organizzazione. È fondamentale dotare i medici di famiglia di personale amministrativo e infermieristico e favorire il lavoro in team nelle medicine di gruppo. Oggi circa un terzo dei medici opera già in questo contesto, che si dimostra essere il più solido anche per prevenire fenomeni di burnout.
Rispetto al tradizionale modello del medico solista, il lavoro in gruppo offre numerosi vantaggi: consente una gestione condivisa dei pazienti, maggiore efficienza organizzativa e una migliore qualità della vita per i medici. Tuttavia, Scotti ha espresso preoccupazione per il crescente abbandono della professione a causa delle condizioni di lavoro insostenibili e dell’eccessivo afflusso di pazienti.
In prospettiva, accanto alle case della comunità ‘hub’, si potrebbero sviluppare case della comunità ‘spoke’, rappresentate da gruppi di medici che operano in rete con gli studi presenti nei paesi e frazioni più isolate. Questi gruppi dovrebbero essere supportati da personale di studio e strettamente collegati con le strutture ‘hub’ per garantire una presa in carico completa dei pazienti anche insieme con le altre professionalità sanitare e sociali.
“Se vogliamo prevenire la carenza di medici, dobbiamo abbandonare il vecchio modello del medico solista, ormai insostenibile”, ha aggiunto Scotti, ribadendo la necessità di investire nelle medicine di gruppo e nella rete territoriale.
“Esistono già strumenti efficaci per migliorare l'assistenza territoriale senza stravolgere il sistema. L'Accordo Collettivo Nazionale attualmente vigente prevede già 4 milioni di ore previste per le Case della Comunità, finanziate nel fondo sanitario, tra le 20 milioni di ore già garantite dai medici di medicina generale. Il rinnovo dell'ACN 2021-2024 è fermo da oltre un anno, con l'emanazione dell'atto di indirizzo si permetta finalmente di introdurre i correttivi necessari – ha concluso il segretario nazionale della Fimmg –per offrire alle Regioni la certezza operativa nelle Case della Comunità che oggi chiedono”.
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