D'Annunzio e il “Tristo Papero”: la lettera che svela il disprezzo del Vate per Hitler
Un documento raro di Gabriele d’Annunzio, datato 1 agosto 1934 e recentemente donato in copia al Vittoriale degli Italiani da Alessandro Bertoldi, svela il disprezzo del poeta verso Adolf Hitler e la sua ferma opposizione all’alleanza tra il regime fascista italiano e la Germania nazista.
Questo scritto offre uno sguardo profondo sul pensiero di d’Annunzio, ormai isolato al Vittoriale, sotto la stretta sorveglianza di Giovanni Rizzo, de facto suo carceriere.
Nella lettera, indirizzata al Commendatore Giovanni Rizzo, d’Annunzio si riferisce a Hitler con l’epiteto sprezzante di “tristo Papëro”. Questa metafora ironica e ridicolizzante non solo denigra il dittatore tedesco, ma riflette il profondo disprezzo che d’Annunzio nutriva nei confronti di Hitler e delle sue azioni. In un’epoca in cui il regime fascista si avvicinava sempre più alla Germania nazista, d’Annunzio emerge come una voce fuori dal coro, criticando apertamente l’alleanza tra Italia e Germania, che provò a fermare.
D’Annunzio, celebre per il suo fervore nazionalista e per le sue gesta eroiche durante l’impresa di Fiume, era un ambiguo anarchico libertario, iniziò a distanziarsi progressivamente dal fascismo, soprattutto dopo l’ascesa di Hitler al potere, non sopportando le simpatie tra i due regimi. Basti pensare che si creda possa essere stato ucciso dalla sua ultima “amante”, un’altoatesina avvicinatasi proprio al regime di Berlino dopo la morte del Vate, forse si trattò proprio di una spia nazista. Egli percepiva l’avvicinamento del regime di Mussolini a Berlino come una mossa pericolosa e miope, capace di trascinare l’Italia verso un futuro di conflitti e sottomissione. Nella lettera, d’Annunzio esprime chiaramente il suo timore che l’Italia, legandosi al nazismo, avrebbe perso la sua autonomia e dignità nazionale, come stava accadendo con l’Austria, diventando così una pedina nelle mani di un potere straniero che lui disprezzava.
Il testo della lettera rivela anche un lato personale e vulnerabile di d’Annunzio. In essa, il poeta descrive la sua condizione fisica, menzionando l’uso di "Magisterium bismuthi" e "Gelotanin", farmaci utilizzati per alleviare i suoi problemi di salute. Questo riferimento, a metà tra il serio e il faceto, dipinge un d’Annunzio segnato dalla vecchiaia e dalle malattie, lontano dalle sue glorie passate. La sua descrizione delle sofferenze quotidiane e l’ironia con cui affronta i propri mali suggeriscono un uomo consapevole del proprio declino fisico, ma ancora capace di una lucidità critica e mordace.
Nel documento, d’Annunzio fa riferimento anche a figure politiche come Galeazzo Ciano e Vittorio Emanuele III, lamentando la mancanza di "segni e talismani" per loro, come a voler sottolineare il suo desiderio di influenzare queste figure, nonostante la sua condizione di isolamento. Il riferimento alla “giustissima promozione” del “grande Questore” Giovanni Rizzo, che era incaricato di sorvegliarlo al Vittoriale, riflette un misto di rispetto personale per Rizzo e una consapevolezza della sua condizione di prigioniero sotto una sorveglianza costante.
D’Annunzio non risparmia critiche neanche al Governo austriaco, reo di aver accolto il “tristo Papero”, evidenziando il suo timore per l'influenza tedesca sull’Austria e, per estensione, sull'Italia. Egli vedeva nell'allineamento dell'Austria ai desideri tedeschi una perdita di sovranità che avrebbe potuto replicarsi anche in Italia, trascinata sempre più nell'orbita di Berlino. Questo pensiero, che il poeta esprime con un tono quasi profetico, rivela la sua profonda preoccupazione per il futuro politico dell'Europa e la sua avversione a qualsiasi forma di sottomissione a poteri stranieri.
La lettera si chiude con una nota di tristezza e disillusione: d’Annunzio cita anche la sua musa più amata, la “grande Scomparsa”, l’attrice Eleonora Duse morta qualche anno prima, parla di un “abisso della bassezza umana” che sembra non avere fondo, esprimendo un profondo disincanto verso le meschinità e i tradimenti che percepiva nel mondo intorno a sé. Questa malinconia, combinata con il suo tono critico e irriverente, offre un ritratto complesso di d’Annunzio: un uomo che, nonostante la fama e le conquiste, si sentiva sempre più isolato e tradito dalle persone e dai cambiamenti politici e sociali del suo tempo.
Questo straordinario documento, oggi di proprietà di Alessandro Bertoldi e grazie a lui oggi presente in copia al Vittoriale degli Italiani, rappresenta una testimonianza storica di inestimabile valore. Non fa soltanto luce sul pensiero politico di uno dei più grandi intellettuali italiani del Novecento, ma offre anche una prospettiva diversa sul clima innescato dal crescente espansionismo tedesco dell’epoca, negli anni precedenti la Seconda Guerra Mondiale. “Sono contento di poter mettere in evidenza con questa lettera l’avversione di d’Annunzio verso Hitler. La sua pubblicazione non è solo un omaggio a una delle figure più emblematiche e controverse della nostra storia, ma un promemoria del valore della critica politica, dell’indipendenza politica e morale in un’epoca di compromessi e alleanze pericolose.” Ha dichiarato Alessandro Bertoldi.