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Fiscalità controllata e prodotti a rischio ridotto rilanciano la lotta al fumo

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Il mondo scientifico internazionale si mobilita affinché gli sforzi per raggiungere l’obiettivo della riduzione del danno da fumo non vengano vanificati da proposte europee di regolamentazione che non tengano conto nella giusta misura dei cosiddetti prodotti alternativi. Le sigarette elettroniche, i prodotti a base di tabacco riscaldato e le bustine di tabacco per uso orale (nei paesi che ne consentono l'utilizzo) sono prodotti con un impatto sanitario notevolmente inferiore rispetto alle canoniche sigarette e vengono addirittura usati in terapie per smettere di fumare.

A seguito dell'evento "COP10" ospitato dal Think Tank Istituto Bruno Leoni – che ha visto la partecipazione di parlamentari italiani, consumatori e scienziati provenienti da diversi paesi – sono emersi numeri significativi sui risultati ottenuti dalle politiche di Svezia e Gran Bretagna riguardo le pratiche THR anche attraverso leve fiscali. Da tempo, la comunità scientifica lndicava questi prodotti come un’opportunità per limitare i danni del fumo; oggi, questa tesi ha trovato in una serie di best practice che vedono la Svezia capofila in questa battaglia.

La nazione scandinava è stato il primo paese in grado di qualificarsi come "smoke-free society", traguardo convenzionalmente fatto coincidere con una porzione di fumatori inferiore al 5 per cento, soglia che probabilmente verrà superata quest'anno; la Svezia, in linea con la sua tradizione liberista, ha ottenuto questo obiettivo senza vietare il fumo ma agendo a livello economico, dotandosi di un quadro normativo e fiscale che penalizza i diversi prodotti in funzione del danno. Dove i banner sanitari, avvisi sulla salute e altre campagne hanno fallito, ha avuto invece successo la strada fiscale che ha favorito il passaggio dalla sigarette tradizionale a prodotti innovativi a rischio ridotto, riducendo così i danni da fumo e facendo calare drasticamente il numero di fumatori che, precedentemente, si attestata intorno al 25% della popolazione adulta.

A questo caso, ai aggiunge quello del Regno Unito, dove si stima che ogni anno tra i 50 e i 70 mila fumatori abbandonino il tabacco per la sigaretta elettronica, e quello del Giappone, dove il fumo è ancora un'abitudine molto radicata ma che ha visto calare il numero di fumatori negli ultimi anni con una rapidità senza precedenti, grazie all'introduzione di prodotti alternativi, come documentato dalla Tholos Foundation nel paper Safer Nicotine Works.

Secondo Carlo Stagnaro, direttore delle ricerche dell’Istituto Bruno Leoni: “Questi temi saranno discussi il mese prossimo alla COP10 di Panama, il meeting periodico organizzato dalla Convenzione quadro dell'Oms sul controllo del tabacco. In quella sede, una delle questioni fondamentali sarà la ridefinizione del concetto di fumo: esso va inteso in senso proprio, con riferimento al solo fumo di tabacco, oppure dovrebbe essere esteso per includere altre pratiche esteticamente simili ma molto meno dannose. In una lettera inviata alle principali autorità svedesi e inglesi, e firmata anche da Cécile Philippe dell'Institute économique Molinari (Francia), da Christopher Snowdon dell'Institute of Economic Affairs (UK), da Constantinos Saravakos di Kefim (Grecia) e da Radovan Durana di Iness (Slovacchia), abbiamo sollevato questo punto.” “In particolare – conclude –  è essenziale che l'Unione europea prenda una posizione ragionevole, evitando di appoggiare una linea massimalista che finirebbe per compromettere le politiche proprio di quei paesi che hanno avuto il maggior successo.”

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