Alzheimer a 19 anni. Rossini, IRCCS San Raffaele: "Non sono una rarità e una novità, ma costituisce realmente un record”
Secondo quanto pubblicato sull'ultimo numero del Journal of Alzheimer's Disease dall’equipe del professor Jia Jianping, neurologo del Friendship Hospital e del National Clinical Research Center for Geriatric Diseases di Pechino un giovane cinese di 19 anni ha cominciato a mostrare i primi sintomi di Demenza di Alzheimer due anni prima di essersi rivolto a un medico, con episodi sempre più gravi di perdita della memoria: non riusciva a ricordare dove riponeva i suoi effetti personali, se avesse già mangiato o bevuto e si isolava dalla famiglia e dagli amici. Tutto è iniziato quando aveva solo 17 anni, con problemi di studio e concentrazione fra i banchi del liceo. Non riusciva più a leggere come prima, faceva difficoltà a concentrarsi e a portare a termine i compiti, con evidenti deficit della memoria a breve termine. “Se venisse confermato da ulteriori analisi questo sarebbe il più giovane malato al mondo” commenta il prof. Paolo Maria Rossini, Responsabile del Dipartimento di Neuroscienze e Neuroriabilitazione dell'IRCCS San Raffaele, “in realtà i casi di demenza di Alzheimer a esordio ‘giovanile’ non sono una rarità e una novità, ma 19 anni costituisce realmente un record. Il primo caso descritto nel 1906 dal neurologo tedesco da cui poi la malattia ha preso il nome era una donna di 49 anni. Nei decenni successivi e soprattutto negli ultimi 20 anni i metodi per effettuare una diagnosi precoce sono migliorati moltissimo (purtroppo non la terapia). Il giovane paziente cinese è stato sottoposto a una batteria di test neuropsicologici che ha mostrato un evidente deficit della memoria. Poi a una risonanza magnetica volumetrica che ha rivelato una perdita di volume degli ippocampi (le centraline di alcuni tipi di memoria), poi ad una PET-FDG che ha mostrato un ipometabolismo nei lobi temporali dei due emisferi cerebrali, cioè una marcata riduzione di consumo energetico in centri del cervello molto importanti per i processi di memorizzazione e apprendimento. Anche la puntura lombare con l’esame del liquido cerebrospinale ha mostrato un’alterata concentrazione di sostanze che nell’Alzheimer portano alla formazione delle placche di beta-amiloide fuori delle cellule nervose e dei grovigli neurofibrillari all’interno delle medesime”. Inaspettatamente, gli esami di genetica medica non hanno mostrato la presenza di mutazioni dei geni che più di frequente sono coinvolti nelle forme giovanili di Alzheimer.
“Grazie al miglioramento dei metodi di indagine (test neuropsicologici, risonanza magnetica, test genetici, analisi del liquor, TC ad emissione di positroni, elettroencefalogramma) e all’aumentata sensibilità e attenzione dei medici e delle famiglie” continua il neurologo, “sono sempre di più i malati diagnosticati prima dei 65 anni, e rappresentano ad oggi fra il 5 e il 10% di tutte le diagnosi. L'Alzheimer, come molte altre patologie neurodegenerative, lavora nel buio anche per decenni e si palesa solo dopo che tutta la ‘riserva neurale e cognitiva’ rappresentata da neuroni-circuiti nervosi-sinapsi presenti dalla nascita, ma silenti sul piano funzionale, è stata consumata. Come se una squadra avesse tanti giocatori in panchina pronti a sostituire quelli che si fanno male. Come detto questa patologia lavora nel buio anche per 25 anni, e per questo motivo tendiamo a pensare che colpisca solo gli anziani, ma non è assolutamente così. C’è da capire perché, in questo giovane in particolare e in tutte le forme giovanili in generale, la riserva neuronale/cognitiva sia stata così esigua da permettere l’esordio dei sintomi in età molto più precoce”.