Graziano (Hbw): "Il payback una mazzata ad aziende. Salvati, invece, i dirigenti pubblici"
Il responsabile sanità del Forum italiano dell'export: due pesi e due misure per le sanzioni sullo sforamento del budget delle Regioni
Oltre 2 miliardi di euro: è questa la cifra richiesta dal governo italiano alle imprese fornitrici del Sistema sanitario nazionale in ossequio al meccanismo «infernale» del payback. Si tratta di fondi che dovrebbero andare a sanare i conti dello Stato, disastrati da decenni di spese «pazze» da parte di Aziende sanitarie locali e Regioni, gravando però sul sistema produttivo privato.
Ma che cos'è il payback? A idearlo fu il governo Renzi e prevede un procedimento sanzionatorio, in danno delle aziende fornitrici del Ssn, che hanno sforato il budget per le forniture. Un provvedimento che, a onor del vero, è rimasto nel cassetto fino a quando, l’anno scorso, col decreto Aiuti bis, l’allora premier Mario Draghi decise di attivarlo chiedendo alle imprese, in rapporti commerciali con il Ssn, di restituire parte dei guadagni ottenuti con l'«overbooking» delle forniture, chiamiamolo così: appunto, 2 miliardi di euro. Una cifra stratosferica.
Ma è davvero il payback il sistema giusto per raddrizzare la situazione in un comparto che assomiglia sempre più a una giungla dove normative e regolamenti vengono sistematicamente bypassati? Il problema è, come sempre, di natura finanziaria: molte delle aziende colpite dal payback, dovendo restituire importi significativi, rischiano di finire sul lastrico. O di dover ridimensionare il proprio posizionamento sul mercato.
Giusto, sbagliato?
«Il payback arriva come una scure sul settore, ma è un modo estremamente duro di cercare di risolvere le evidenti criticità esistenti e che, peraltro, nessuno nega», spiega a Liberoquotidiano.it Antonio Graziano, Ceo dell'azienda Hbw-Rigenera e responsabile sanità del Forum italiano dell'export. «Se ragioniamo solo in chiave contabile non andiamo molto lontano. Bisogna fare, invece, un passo in più, una riflessione ulteriore».
Vale a dire?
«Se nel meccanismo delle forniture viene riconosciuta la responsabilità delle aziende, a cui è stato richiesto di restituire cifre consistenti, parimenti bisognerebbe pensare di agire a livello di recupero sull’organo amministrativo che gestisce le Asl e che ha autorizzato quelle spese ritenute non giustificate. Perché se si è verificato uno sforamento del budget vuol dire che c’è stato un errore almeno di programmazione da parte del settore pubblico. Non possiamo gettare la croce solo sulle aziende che hanno risposto all'emissione dei nuovi ordini».
Una chiamata in corresponsabilità, insomma?
«Esattamente. Se una “punizione” ci deve essere, allora è logico – oltre che proceduralmente corretto – che questa venga estesa al livello amministrativo-burocratico che avrebbe dovuto vigilare e tutelare gli interessi della pubblica amministrazione, e non l'ha fatto. Non possiamo pensare che la ditta a fine mese invii una fattura senza che qualcuno abbia fatto un ordine. Chi li ha fatti questi ordini in più?».
Vede una disparità di trattamento nel meccanismo del payback, quindi?
«Nel Sistema sanitario una parte rilevantissima di risorse viene assorbita dalla macchina burocratica. Questa è una cosa che molto spesso il cittadino non sa. Per dirla in breve: paghiamo in maniera adeguata funzionari e dirigenti apicali della Pubblica amministrazione. Nel momento in cui si verifica uno sforamento così importante evidentemente c’è stato un errore di pianificazione, di gestione che, ripeto, non riguarda le imprese, e che dev'essere imputato a chi è pagato, invece, per evitarlo».
E quindi?
«Se c’è stato questo errore, e riteniamo le aziende corresponsabili e, pertanto, pretendiamo da loro la restituzione di cifre molto importanti, allora parimenti vorrei sapere, come cittadino, quali sono le sanzioni per l’organo amministrativo che ha firmato le autorizzazioni per le nuove forniture. Altrimenti noi vediamo solo una parte del problema, e non è corretto».
Col risultato, quindi, di colpire l'anello debole della catena, intende?
«Partiamo da un presupposto: i processi di acquisto sono elaborati e lunghissimi e vedono la partecipazione di più livelli decisionali. Non si tratta di un singolo sbaglio, di una circostanza sfortunata. Se siamo arrivati a 2 miliardi di euro di fatturato da restituire significa che il “bug” è sistemico, è consuetudine. La componente amministrativa doveva vigilare, tutelare e proteggere le finanze pubbliche dallo sforamento. Se non lo ha fatto, non può risponderne solo il sistema produttivo».
Il governo Meloni ha deciso di posticipare a fine aprile l'incasso delle sanzioni: che cosa ne pensa?
«Questa scelta assomiglia più a una concessione di tipo tecnico, affinché le aziende possano recuperare le risorse necessarie dal sistema bancario e spalmino, su più esercizi fiscali, la cifra da versare, piuttosto che a un provvedimento in grado di risolvere alla radice la questione. Non è che si sta dicendo alle aziende di non pagare, è stato offerto loro un po' di tempo in più per farlo».
Il payback modificherà, secondo lei, i rapporti di forza industriali nel comparto?
«Questa è una possibilità. Come in qualunque terremoto finanziario, anche il payback favorisce chi ha delle potenzialità economiche maggiori e, quindi, un grande player sicuramente è in grado, anche per tutta una serie di crediti che ha, di gestire al meglio questo tipo di sanzione. Le realtà più piccole, invece, potrebbero finire schiacciate o messe ai margini del mercato. Ma c'è pure un altro aspetto da non sottovalutare: all'estero sarà sempre più difficile far passare l’idea che in Italia ci sono normative un po' curiose che impongono la restituzione allo Stato dei soldi incassati regolarmente a fronte della cessione di un prodotto. Qualche grande multinazionale potrebbe tranquillamente decidere di non operare più sul mercato italiano».
Che cosa accadrà allora, secondo lei?
«Supereremo lo scoglio di aprile perché il comparto è forte nel suo complesso. Le aziende più strutturate in qualche modo troveranno il denaro per onorare i debiti, qualcuna fallirà, qualche altra si industrierà per cercare una opzione diversa per non soccombere. Ma una rivisitazione normativa è imprescindibile, arrivati a questo punto».
Una rivisitazione che preveda che cosa?
«Evidentemente ci sono stati degli errori di pianificazione, come dicevo prima. Ormai viviamo con uno sforamento sistematico delle forniture nella cornice, peraltro, di un Sistema sanitario che è stato progettato alla fine degli anni ‘70, quasi mezzo secolo fa. Un'era geologica è passata da allora. È cambiata la tecnologia, è cambiato il mercato, sono cambiate le leggi ed è cambiata anche l'Italia. Bisognerebbe lavorare a una profonda ristrutturazione del Ssn per adeguarlo alle esigenze attuali sia sotto il profilo operativo che sociale. Ovviamente, non possono farlo le aziende ma è un compito che spetta al decisore politico, al governo e al parlamento».
Basterà questo?
«Certo che no. Bisognerà, poi, riflettere sulle risorse attuali del nostro budget sanitario. Dobbiamo ragionare a livello politico e scegliere su che cosa continuare a puntare. Da manager privato penso che dobbiamo commisurare la nostra capacità di spesa a quelle che sono le nostre potenzialità e le nostre reali necessità. In Italia, invece, siamo abituati sempre a rimandare a domani quel che andrebbe fatto oggi. E così ci troviamo, d'un tratto, con un buco di bilancio così profondo da dover chiedere indietro i soldi alle aziende. Che, voglio ribadire ancora una volta, non sono il “nemico” da colpire, ma sono semplicemente uno degli attori di questo gigantesco meccanismo – mi verrebbe da dire: spettacolo – che è il Servizio sanitario nazionale. Attori e non registi. E soprattutto attori e non capri espiatori».