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L'EDITORIALE

di Maurizio Belpietro
di Maria Acqua Simi domenica 10 gennaio 2010

3' di lettura

Il dizionario dei santi spiega che Agazio è un nome che deriva dal greco agathòs e significa buono. E Agazio Loiero, governatore della Calabria, l’aria buona ce l’ha: lo conosco, è un ex democristiano riciclato con la sinistra che parla piano e dice sempre cose molto pacate.  Doveva avere questo stesso tono anche ieri, mentre sosteneva che quanto accaduto a Rosarno – spari e scontri di piazza compresi -  è colpa dello Stato. «Tocca ai vertici guidare certi processi», ha sentenziato soavemente. Di quali processi si tratti è presto detto. Nella cittadina che si affaccia sulla piana di Gioia Tauro, pur essendoci una disoccupazione da record, non c’è nessuno che ha voglia di raccogliere gli agrumi che vi si coltivano. Così, da parecchi anni, si ricorre alla manodopera da fuori, quasi sempre immigrata dall’Africa e quasi di regola clandestina. Sono un paio di migliaia di persone, che arrivano (...) (...) a ottobre-novembre e restano fino alla primavera: il tempo di raccogliere per 20-25 euro al giorno i mandarini. Diverse centinaia di extracomunitari in realtà si fermano tutto l’anno e si arrangiano. Come non si sa: stanno tutti, o quasi tutti, nei locali di un’ex cartiera, senza luce o acqua corrente. Per il presidente calabro di tutto ciò ha colpa lo stato.  Se gli immigrati vivono in condizioni drammatiche, con i cartoni addosso- parole sue - la responsabilità è di Maroni. Se l’altra sera, dopo che due di loro erano stati feriti, hanno sfasciato mezzo paese, il torto è sempre del ministro dell’Interno. Cosa avrebbe dovuto fare Bobo secondo il buon Agazio? Forse accogliere tutti quanti a braccia aperte e costruir loro confortevoli alloggi per il periodo che trascorrono a raccogliere frutta? Magari anche aprire una mensa per la distribuzione dei pasti caldi a prezzo politico, e nelle vicinanze un circolo ricreativo per consentire lo svago serale? Sono certo che dandogli tempo il serafico Loiero troverebbe anche altri servizi da mettere a disposizione dei nuovi venuti. Probabilmente non è stato in grado di risolvere i problemi sanitari che premono ai calabresi e neppure ha escogitato soluzioni per ovviare ai disagi nei trasporti di cui soffrono i suoi conterranei. Però è arciconvinto che per gli immigrati di Rosarno ci voglia lo Stato. E i soldi dello Stato. Il governatore in parte ha ragione: Roma deve fare la sua parte. Per esempio una Nazione seria i suoi permessi li fa rispettare. E se sono stagionali, a raccolto finito pretende che i lavoratori autorizzati se ne tornino da dove sono venuti. Se non hanno i mezzi per campare certo non li lascia tra le rovine di una fabbrica. Un Paese che ha dignità di essere tale le leggi le applica davvero, non permette a una magistratura buonista di interpretarle a suo buon cuore, rendendole di fatto inapplicate, ma ne pretende il rispetto, pena l’allontanamento del magistrato insieme al clandestino. Uno Stato, insomma, si fa sentire e si fa rispettare e se una norma, la Bossi-Fini, si fa sfuggire tra le sue maglie troppi immigrati, la migliora, rendendola più impermeabile. Altro che improbabili politiche della mano tesa sognate da Bersani. Non c’è paese al mondo che abbia una politica dell’accoglienza come quella invocata dal capo piddino: tutti – a maggior ragione gli europei – si sforzano di respingere prima che gli immigrati la troppa tolleranza. Se ne faccia una ragione il dolce Agazio. Diversamente, di questo passo, un giorno o l’altro si ritroverà un sindaco leghista anche a casa sua. A Reggio Calabria.

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