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Fini: "Sono stato cacciato, non mi dimetto"

L'ex di An annuncia la nascita di un nuovo gruppo parlamentare. E accusa: "Il premier tratta il partito come un'azienda, ha una concezione illiberale della democrazia"
di Paolo Franzoso sabato 31 luglio 2010

4' di lettura

"Ieri sera in due ore senza possibilità di replica sono stato di fatto espulso perché ritenuto colpevole di essere incompatibile con il partito che ho contribuito a fondare”. Gianfranco Fini non vuole passare per un traditore. Non darà le dimissioni dal ruolo istituzionale che ricopre “perché è a tutti noto che il presidente non deve certo garantire la maggioranza che lo ha eletto”. La scomunica dell'Ufficio di presidenza non cambia la sua posizione, niente lo schioderà dalla poltrona più alta di Montecitorio: "Sostenere che devo lasciare la presidenza della Camera dimostra una logica aziendale modello amministratore delegato di un consiglio di amministrazione che non ha nulla a che vedere con le istituzioni democratiche". Il cofondatore non ha digerito per niente la censura, non c'erano dubbi. Allora si gioca la carta istituzionale, utilizza una dialettica di responsabilità politica, ma l'affondo sul Cavaliere è pesante: "La concezione non propriamente liberale della democrazia che l’onorevole Berlusconi dimostra di avere, emerge dall’invito a dimettermi". Fini parla per cinque minuti in conferenza stampa ostentando sicurezza. Assume un profilo istituzionale, assicura che il gruppo I finiani sosterranno il governo ogni qualvolta agirà davvero nel solco del programma elettorale, ma non esiteranno a contrastare scelte ritenute ingiuste e lesive dell'interesse generaleparlamentare dei finiani "sosterrà il governo ogni qualvolta agirà davvero nel solco del programma elettorale", ma "non esiterà a contrastare scelte ritenute ingiuste e lesive dell'interesse generale". In altre parole, conferma la nascita della sua nuova creatura politica: "Ringrazio dal profondo del cuore i parlamentari del Pdl che daranno vita a iniziative per esprimere la protesta contro quanto deciso ieri dal partito: sono uomini e donne liberi". "Futuro e Libertà per l’Italia". Così si chiama il gruppo autonomo dei finiani alla Camera. Il nome è stato formalizzato presso gli uffici di Montecitorio, cui sono state anche consegnate le 33 richieste di adesione da parte dei deputati che hanno deciso di seguire Gianfranco Fini dopo la rottura con Berlusconi. Il messaggio di Fini è già stato recepito come un dogma, segno del ruolo politico che ha già assunto il presidente della Camera:  "Lealtà al governo per quanto riguarda il programma, ma per il resto  le mani libere", confermano Bocchino e Granata alla fine della conferenza stampa. Il finiano della prima ora, Italo Bocchino, riserva ancora critiche al premier: "Il documento approvato ieri non appartiene alla cultura dei partiti liberali europei". Intanto il nuovo gruppo nasce con una contraddizione: i finiani hanno dato le dimissioni dal gruppo ma non dal Pdl. Un controsenso. Il collegio dei probivi si terrà il 4 agosto e potrebbero anche trattare l'argomento e forse decretare l'espulsione dei 33 deputati. Nel partito c'è chi pensa che, in realtà, l'espulsione è decretata d’ufficio nel momento in cui i finiani hanno dato il via all’iniziativa alla Camera. La replica del PdL - "C'è stato un chiarimento netto a livello politico". Quella dei deputati del Pdl nei confronti del Presidente della Camera Gianfranco Fini "è una sfiducia politica e non aziendale", scrive il capogruppo alla Camera, Fabrizio Cicchitto. "Nella conferenza stampa l’On. Fini - afferma Cicchitto - ha rimosso i mesi di polemica martellante da lui condotta e da alcuni parlamentari a lui legati, che hanno provocato la crisi del PdL e una situazione di incompatibilità politica. Non per una logica aziendale ma per una logica politica è derivata la rottura e anche l’affermazione contenuta nel documento del PdL sulla caduta del rapporto di fiducia che ha portato il PdL ad eleggerlo a Presidente della Camera". Sono convinto che nonostante le tensioni nel PdL il governo mantiene la sua maggioranza e la capacità di condurre a termine la legislatura Dimissioni per incompatibilità - Gli appelli di Fini erano in contrasto con le linee del PdL. Ma poco importa se si è consumato il divorzio, l'incompatibilità con la carica ricoperta a Montecitorio resta. La conferenza stampa e la nascita del gruppo dei finiani è la prova che Fini "non può più continuare a svolgere un ruolo di garanzia, qual è quello di presidente della Camera". A parlare è il ministro Bondi, che ribadisce l'incompatibilità fra carica istituzionale e ruolo politico di Gianfranco Fini. "Questa mattina - commenta in una nota - gli uffici del presidente della Camera hanno finito per assomigliare alla sede di una corrente politica. Con il tempo anche l'on. Fini non potrà non prendere atto di come sia impossibile, oltreché inopportuno, esercitare un ruolo di garanzia, come quello attribuito al Presidente della Camera, e nello stesso tempo quello di ispiratore di un gruppo parlamentare. La Lega vuole andare fino in fondo - Il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, non crede che la rottura del PdL metta in pericolo governo e maggioranza: "Sono convinto che nonostante le tensioni nel Pdl - dice - il governo mantiene la sua maggioranza e la capacità di condurre a termine la legislatura". I numeri saranno più stretti, "sarà una navigazione più a vista di quanto fatto finora", ma ciò favorirà la coesione perché "aumenterà la consapevolezza che bisogna essere sempre presenti e attenti".

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