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Allarme rossi

Pechino condanna il discorso di Hillary Clinton su Google: danneggia i rapporti bilaterali. Tra Usa e Cina è crisi politica
di Maria Acqua Simi sabato 23 gennaio 2010
Allarme rossi

3' di lettura

Questa volta ci siamo. La lotta fra i due giganti della politica mondiale, Cina e Stati Uniti, non resta l'idea di pochi studiosi di politiche internazionali.  Diventa realtà. Perché quello su Google, e più in generale sulla democrazia online, è diventato ormai uno scontro diplomatico.  Lo scorso 14 gennaio Obama aveva avvertito sui rischi della censura operata dal governo cinese sugli oltre 300 milioni di utenti della Repubblica popolare che navigano online. La risposta era stata un silenzio se non imbarazzante, quantomeno sospetto. Poi, nella pratica, ecco lo scontro su Google. Il noto motore di ricerca qualche giorno fa ha annunciato di volersi ritirare dalla Cina per via delle continue intromissioni nella posta elettronica e nel server dei loro clienti cinesi.  L'accusa era chiara: violati siti e conti Gmail di ben 34 aziende hi-tech della Silicon Valley. Una gigantesca operazione di spionaggio industriale, condotta da hacker cinesi su una scala tale da escludere che si potesse trattare di pirati "individuali". Google aveva visto vacillare paurosamente la propria credibilità presso i grandi clienti americani. Ed è corsa ai ripari. I suoi sistemi di sicurezza sono stati beffati da Pechino, con un danno economico più concreto della reputazione etica. Tra le società che hanno subìto "intrusioni" figura la Adobe Systems.La Cina aveva risposto picche. Così ieri, a scendere in campo nuovamente, è stata Hillary Clinton. In diretta web - non a caso - la leader democratica ha tenuto un discorso trasmesso sui canali mondiali. Hillry Clinton: spero che il rifiuto di appoggiare la censura politica diventerà una caratteristica delle imprese americane nel settore delle tecnologie. Vorrei che diventasse una sorta di marchio nazionale  "Spero che il rifiuto di appoggiare la censura politica diventerà una caratteristica delle imprese americane nel settore delle tecnologie. Vorrei che diventasse una sorta di marchio nazionale. Il settore privato ha la responsabilità di salvaguardare la libertà di espressione e, qualora rilevasse violazioni, dovrebbe riferire alle autorità competenti", ha detto la Clinton. E sulla condotta che dovrà avere in futuro la Cina, il segretario di Stato ha picchiato duro: "Ci aspettiamo dalle autorità cinesi che organizzino un'inchiesta minuziosa sulle intrusioni informatiche. Vogliamo inoltre che questa inchiesta e i suoi risultati siano trasparenti". Poi, non contenta, la Clinton ha affondato sulla cosiddetta  cybersicurezza, dichiarando che "andrebbe inserita nell'agenda internazionale" perché i network di comunicazione siano "liberi, sicuri e affidabili". Ha usato paragoni forti, la leader americana. E ha rievocato fantasmi del passato: "Un tempo c'era il muro di Berlino, oggi vengono eretti muri virtuali e cortine dell'informazione", ha detto. Esempi citati non a sproposito, con il chiaro riferimento alla censura comunista della Guerra Fredda. Ma la Cina, che politicamente aspira da sempre ad un sorpasso sull'egemone statunitense, ha risposto a muso duro. Dal suo sbarco in Cina nel 2006, Google aveva accettato di pagare un prezzo pesante: si era prestata a installare dei filtri di software in obbedienza alla censura locale. Il motore di ricerca Google in mandarino, quello a cui si accede col prefisso finale ".cn", oscurava automaticamente i siti sgraditi al governo e le notizie tabù. Da ieri, per la gioia dei militanti dei diritti umani, Google ha interrotto il "collaborazionismo". Sul suo sito in mandarino sono apparsi di colpo il Dalai Lama, e le immagini del massacro di Piazza Tienanmen nel 1989. Il ministro degli Esteri ha definito  "dannoso" per i rapporti con gli Usa il discorso della Clinton, segnando quindi un punto di rottura nelle relazioni tra i due stati. Perché il discorso del segretario di Stato amerticano ha sollevato una controversia che rivela ben più di quanto non si pensi. Se le parole hanno un peso, è evidente che dietro il respingimento cinese dell'appello di Washington a liberare Internet dalla censura, c'è di più. C'è un paese, la Cina, che conta oltre 300 milioni di utenti online (un mercato immenso, e il motore di ricerca Google veniva usato in media da 80 milioni di cinesi almeno una volta alla settimana, e la metà di questi sono degli utenti ad alta frequenza) e c'è un altro paese, gli Stati Uniti - che hanno fatto dell'esportazione della democrazia il cavallo di battaglia. Due ideologie a confronto, certo, ma anche due mercati economici inconciliabili. La partita è aperta. Questa volta sul serio.

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