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Caso Cucchi, giallo senza fine

La commissione d'inchiesta rivela: tentatono di rianimarlo a tre ore dalla morte
di Maria Acqua Simi sabato 13 marzo 2010

2' di lettura

Il caso Cucchi non è affatto concluso. Perché dalla relazione della Commissione parlamentare incaricata di indagare sulla vicenda, spuntano nuovo elementi. Nella notte tra il 21 e il 22 ottobre, il medico del reparto carcerario dell'ospedale Sandro Pertini di Roma cercò di rianimare Stefano Cucchi pur sapendo che era morto da circa tre ore. Come riferisce il "Corriere della Sera", i due consulenti della commissione parlamentare, presieduta da Ignazio Marino, Vincenzo Pascali e Rodolfo Proietti, hanno fissato il decesso del giovane alle 3 del 22 ottobre 2009. "Pertanto - concludono - anche il medico che praticò le manovre di rianimazione tra le 6.15 e le 6.45 notando una rigidità dei muscoli del collo e dell'articolazione temporo-mandibolare, sapeva che il paziente era morto da tempo". I consulenti parlano poi di una relazione mai spedita dei medici che visitarono Cucchi. Relazione che evidenziava le preoccupanti condizioni di salute di Stefano. Relazione che però non fu mai spedita.  Il giovane venne ricoverato che pesava 52 kg, quattro giorni dopo ne aveva persi ben 10 perché si rifiutava di nutrirsi e idratarsi finché non fosse stato messo in contatto con un avvocato. La relazione parlamentare conclude poi che i traumi agli occhi, alla colonna vertebrale e al cocige, gli siano stati provocati poco prima di morire. Inchiesta ferma- L'inchiesta del tribunale per ora è ferma in attesa di perizie mentre restano indagati per omicidio preterintenzionale per le presunte percosse tre agenti penitenziari e sei medici del Pertini per omicidio colposo. Le quattro domande senza risposta- La relazione della commissione parlamentare indica infine quattro punti da chiarire da parte della magistratura: chi ha provocato le lesioni a Stefano Cucchi. Perché è stato trasferito (una procedura anomala) nella struttura protetta del Pertini. Chi è responsabile di non aver autorizzato i colloqui del detenuto con un legale. Chi ha la responsabilità di non aver riconosciuto la gravità dello stato di salute del paziente e quindi di non averlo monitorato.

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