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Le memorie di Blair

A settembre esce "The Journey", l'autobiografia dell'ex premier britannico
di Maria Acqua Simi domenica 7 marzo 2010

3' di lettura

Si intitolerà "The Journey", il viaggio. E' questo il titolo che Tony Blair ha scelto per il suo libro di memorie, in uscita a settembre. Il libro-Un libro che descriverà molte cose tra cui, ha detta dello stesso Blair,  "i lati umani e politici" dei suoi anni alla guida del Paese. Random House, la casa editrice con la quale Blair si era accordato per la pubblicazione già nell'ottobre del 2007, ha dichiarato che l'ex primo ministro ha scritto il libro di suo pugno, senza l'aiuto di alcun autore e che si tratta di un racconto «sincero e aperto» delle sue esperienze. L'uscita del volume - sia nel Regno Unito che negli Usa e in Canada - è stata rimandata fino a settembre in attesa dell'esito delle elezioni previste per maggio. Secondo alcune fonti, il libro potrebbe fruttare all'ex premier - che nei prossimi mesi sarà impegnato in un tour di presentazione sia in Gran Bretagna che all'estero - fino a 5 milioni di sterline. Blair ha anche prestato la sua voce ad una versione audio delle memorie. La seconda vita di Blair- Quella di inviato per la pace nel Medio Oriente su mandato di Onu, Unione Europea, Usa e Russia è la seconda vita di Tony Blair. La prima si era conclusa nel maggio del 2007, con l’annuncio delle dimissioni da Primo Ministro inglese. La fine - fu subito chiaro al mondo - di un capitolo senza precedenti per la Gran Bretagna. Per dieci anni, il più giovane leader politico della storia inglese (nato a Edimburgo nel 1953, diventa premier a 44 anni) aveva tenuto saldamente le redini del Labour alla guida del Paese: un successo politico senza pari, considerando che il suo partito, prima del suo arrivo, aveva trascorso diciotto anni all’opposizione. Un successo basato su una leadership carismatica e tuttavia non priva di scelte impopolari – le guerre in Afghanistan e Iraq combattute a fianco degli Stati Uniti – e travagliata personalmente, come la conversione al cattolicesimo resa pubblica solo allo scadere del mandato. Legato ai teorici del socialismo cristiano e ai revisionisti degli anni Cinquanta, Blair e la sua squadra (Campbell, Mandelson, Diamond, Brown) regalano aria fresca alla sinistra inglese, tanto da inaugurare l’era del cosiddetto New Labour, quella terza via che si pone tra il neoliberismo della destra e le politiche assistenziali della “vecchia sinistra”. Come ha scritto il saggista Andrea Romano, «il blairismo fu una risposta al bisogno di reinventare la socialdemocrazia. Fu la risposta che venne per prima e che si trovò ad incarnare un modello per gli altri socialismi europei». Leader riformista- Capisaldi della politica di Blair saranno l’educazione «Education, education, education» risponderà a chi gli chiede quali saranno i primi tre obiettivi del suo mandato nel 1997, la lotta al crimine «Though on crime and though with causes of crime», pronuncerà nella sua più celebre intervista a Radio Four nel gennaio 1993), il tentativo di coniugare coesione sociale ed iniziativa economica, protezione e competitività, integrazione e crescita in un mondo, quello degli anni Novanta, che andava globalizzandosi. Ma se dal punto di vista politico il suo governo segna una svolta, alcune scelte interne rimangono discutibili e destinate a suscitare forti divergenze nell’opinione pubblica: è il caso, risalente al 2007, della proposta di legge che consente agli scienziati di intervenire sui geni degli embrioni congelati per “migliorarli”. Una scelta che non stupisce, nella nazione del primo aborto legale (possibile fino al settimo mese di gravidanza) e dove lo Stato si premura di rimborsare ogni trattamento di fertilizzazione in vitro, ma che mal si concilia con le dichiarazioni di “politica guidata dalla fede” di cui il Primo Ministro si fa portavoce. Perché di Blair è stato detto tutto: un opportunista, un truffatore, un neocon, un conservatore travestito da socialista. Ma nonostante questa sfilza di aggettivi negativi, quello che rimane è il ritratto di un ex ragazzo (così lo chiamavano i conservatori, giudicandolo troppo giovane per guidare una nazione) che mentre lavora come inviato per la pace in Medio Oriente e tratta con Hamas, ha ancora l’umiltà di mettersi in ginocchio di fronte a un crocefisso.

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