Vaucher, ricerca e corsi certificati. Emilia e Piemonte cambiano così

Cota rivoluzionerà il sistema mentre Errani punta su una rete regionale di giovani ricercatori
di Fabio Cortisabato 12 giugno 2010
Vaucher, ricerca e corsi certificati. Emilia e Piemonte cambiano così
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Piemonte ed Emilia Romagna a confronto. Due regioni, tradizionalmente tra le più virtuose d'Italia, che, causa crisi economica globale, si trovano a dover rimodellare i loro programmi sul lato lavoro e formazione. Cantieri in corso, e non potrebbe essere altrimenti. Le nuove giunte si sono insediate da pochi mesi, le Regionali datano fine marzo 2010. E se in Emilia è stato riconfermato Vasco Errani, ma il responsabile al lavoro e alla formazione è cambiato, in Piemonte si è avuta una vera e propria svolta con il passaggio della democratica Mercedes Bresso al leghista Roberto Cota. Due modelli diversi, si diceva, e infatti anche le prime dichiarazioni d'intento di Patrizio Bianchi (giunta Errani) e Roberto Rosso, (giunta Cota) lo dimostrano. In completa rottura con il passato quelle di Rosso: «Ci siamo trovati in eredità della precedente giunta regionale il bando che stanziava 11 milioni 700 mila euro per consegnare 2.500 euro ai lavoratori in cassa integrazione, mobilità o disoccupazione e con reddito inferiore a 13.000 euro. Le domande pervenute sono state 14.702, quelle finanziate 4.047. È stata una misura di carattere assistenziale che rappresenta anche un danno per il lavoratore stesso, in quanto, al di là del contributo economico, non fa nulla per reinserirlo nel ciclo produttivo. È pertanto l'ultima volta che si applica una misura di questo genere». «Lavoriamo in continuità con la precedente giunta», ha dichiarato a Libero il neo assessore emiliano alla Scuola, formazione professionale, università e ricerca e lavoro, Patrizio Bianchi. E proprio partendo dalle diverse competenze dell'assessorato che si può arrivare al cuore del suo programma. «Il nostro obiettivo - continua - è integrare questi diversi pezzi che partono dalla scuola e l'Università, arrivano alla ricerca e alla formazione professione e si concludono con il lavoro». Cioè? «Nel settore dell'edilizia - spiega - ci vogliono bravi architetti e bravi ingegneri, certo, ma è altrettanto importante e avere capi cantiere capaci. Per questo abbiamo previsto lo stanziamento, attraverso i fondi europei, di 30 milioni di euro dal 2009 al 2011 per favorire la formazione nel passaggio intermedio tra gli istituti superiori e l'università». Insomma, uno step  superiore, per arrivare alla diverse facoltà con un'idea più chiara sul da farsi. Si dirà, programma lodevole, soprattutto nel lungo periodo, ma per l'immediato? Per fronteggiare la crisi? «Oggi - sottolinea Bianchi - parliamo di un sistema economico globale che arriva da dieci anni di crescita bassa e ci ritroviamo di fronte a nuove manovre di correzione europea con un carattere marcatamente inflazionistico. Noi come fronteggiamo tutto questo? Per il momento abbiamo stanziato, sempre attraverso i fondi europei 24 milioni di euro, per il 2010, per consolidare le competenze di chi ha perso il lavoro e per chi dovrà essere ricollocato nei nuovi processi di ristrutturazione aziendale. Ma non solo. Perché con la maggior parte di questi fondi metteremo in campo interventi nuovi per promuovere l’auoto-imprenditorialità e la nascita di nuove imprese. Stiamo guardando soprattutto al passaggio dall’attività manifatturiera a quella dei servizi». Lo stesso presidente Errani illustrando il suo programma ha sottolineato che uno degli obiettivi della nuova giunta è «di riconvertire un pezzo della manifattura già altamente specializzata in settori innovativi come le nanotecnologie, scienze della vita e risparmio energetico». Per questo l’Emilia Romagna ha investito 130 milioni per creare una rete regionale della ricerca insieme alle imprese e all’università che dà lavoro a 1500 ricercatori. «Al di là di questo - continua Bianchi - abbiamo in programma un incontro con il governo perché in un contesto del genere il coordinamento diventa fondamentale». Non è infatti che il Piemonte se la passi meglio. L’emergenza lavoro è ai primi posti dell’agenda Cota. E il neogovernatore aveva annunciato a Libero il suo punto di partenza. «Se un’azienda sottoscrive con noi un contratto di  insediamento sul territorio e si impegna ad assumere un tot di persone, allora riceverà un voucher, un sostanzioso contributo economico che ovviamente dipenderà dalla dimensione dell’imprese e dalle potenzialità occupazionali che andrà a creare». E la formazione? Quella arriverà in un secondo momento. Ma l’assessore competente, Roberto Rosso ne ha già parlato abbondantemente: «Vogliamo rivoluzionare il sistema», spiegava. «Rispetto a alle altre Regioni italiane, abbiamo un livello di eccellenza della formazione. La grande formazione di matrice cattolica è nata in Piemonte, accanto al solidarismo di San Giovanni Bosco e di altri grandi personaggi». Quindi? «La nostra intenzione non è di distruggere ciò che abbiamo provato, ma di fare in modo che queste strutture formative si integrino meglio con il mercato del lavoro. Vogliamo che la Regione non paghi più i corsi di formazione ai centri di formazione, ma dia una dote formativa ai lavoratori; questi andranno a spendersela sul  mercato, sceglieranno loro chi è più in grado di trovargli un lavoro». E poi? «Intendiamo togliere dall’accreditamento degli standard - sottolineava - tutta una serie di corsi che non hanno ragione di essere. Ci sono addirittura corsi di formazione pagati per imparare l’inglese: ora, chi pensa realisticamente che si possa imparare l'inglese, in nove mesi, attraverso un corso di formazione in regione Piemonte è un pazzo o un incosciente. Da questo punto di vista, quindi, aboliremo tutte queste categorie di formazione, che servono più per gli insegnanti che per i lavoratori e invece introdurremo la dote formativa, che permette di orientarsi sul settore che la Regione individua come il più idoneo a cercarsi il formatore più adeguato a realizzare questo obiettivo». Il Piemonte,  nfatti, dovrebbe essere diviso in quattro zone. «Faremo dei corsi di formazione - continuava - che siano adatti alle realtà del territorio che sono diverse a Torino rispetto al resto. Noi vogliamo far perdere al Piemonte il connotato di “Torino-centricità” che ha avuto con la sinistra. E' ora di far sì che Torino svolga il suo ruolo di capitale del Piemonte, ma non abbia la funzione di impostare e di imporre i suoi meccanismi di impresa anche a realtà più dinamiche e più veloci come sono quelle delle province».