In Italia si parla di giustizia (e di malagiustizia) probabilmente più che in qualsiasi altro Paese al mondo. Ma sempre di giustizia penale: tangenti, Ruby, mafia, prescrizioni, carcerazioni facili, scarcerazioni scriteriate, errori giudiziari, ecc. Per carità, tutte cose importantissime, in grado di rovinare vite e far cadere governi: l’abbiamo visto. Tuttavia non meno devastante per le nostre esistenze da uomini della strada tendenzialmente non criminali è l’impatto della giustizia civile. Quella, tanto per intenderci, che con i suoi tempi preistorici, i suoi riti bizantini, la sua ottusità burocratica, la sua discrezionalità dispotica è in grado per esempio, come dimostra la storia che pubblichiamo oggi, di lasciare che un bene di tua proprietà ti venga sostanzialmente tolto sfruttando i meandri della legge senza che il malfattore debba pagare un euro se non, forse, in un futuro remoto in cui quella somma non servirà più assolutamente a niente. Succede tutti i giorni, in Italia. Così come succede che vedove conducano vite di stenti per anni in attesa che un tribunale trovi il tempo, o la voglia, di pronunciarsi sul ricorso dei famigliari del morto che blocca l’eredità. O che per incassare un assegno a vuoto si attraversi un calvario processuale lungo 645 giorni (in media!) contro i 39 necessari per la stessa operazione in Olanda. Gli esempi che si potrebbero elencare sono innumerevoli. Ma noi vorremmo che foste invece voi lettori a farlo, raccontandoci le vostre storie come fa oggi Enrico Borellini. Vi abbiamo riservato una mail: giustiziati@liberoquotidiano.it. Sì: «giustiziati», ovvero vittime non della malagiustizia bensì della Giustizia civile con la G maiuscola così come (non) funziona in Italia. Scriveteci le vostre disavventure giudiziarie: noi le pubblicheremo cercando, attraverso le vostre voci, di scuotere il Palazzo, di indurlo finalmente a smetterla con le beghe e i veti ideologici e corporativi che da sempre bloccano ogni riforma del sistema giudiziario nel nostro Paese, dove per una causa civile occorrono in media 2.469 giorni e per recuperare un credito 1.210, quattro volte più che in Francia. Numeri che ci pongono al 156° posto - dopo Angola, Gabon e Guinea – in una classifica di 181 Paesi nella quale la Germania è al 9° posto, la Francia al 10° e il Regno Unito al 24°. Numeri che nella vita di tutti i giorni incidono la carne viva dei cittadini. E che, nel bel mezzo della crisi economica più disastrosa che si ricordi, costano allo Stato punti di Pil. Tanto per dire: i nostri processi sono i più cari d’Europa (il 30% del valore della causa: in Germania è il 14,4%), i nostri magistrati i meno produttivi (secondo un rapporto dell’ex ministro Brunetta lavorano quattro ore al giorno). E, soprattutto, i tempi infiniti scoraggiano l’arrivo di investitori stranieri più di ogni altro fattore, come ha impietosamente ricordato qualche giorno fa il Financial Times, il quotidiano della City londinese. Questi numeri governo e Parlamento li conoscono, ma a quanto pare ciò non basta a indurli a darsi una mossa. Trasformiamoli in storie, le vostre drammatiche storie di «giustiziati d’Italia», e vediamo se riusciamo a cambiare le cose. di Massimo De’ Manzoni