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Consiglio al Pdl: andate a lavorare

Il partito di Alfano dovrebbe rileggersi l'intervento del leader degli industriali: un ottimo programma per un partito liberale che intenda rilanciare l'economia di questo Paese
di Nicoletta Orlandi Posti domenica 27 maggio 2012

4' di lettura

Conosco poco il nuovo presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, ma quel poco mi basta per ritenerlo l’uomo che serve a guidare gli imprenditori italiani in un momento di crisi. A differenza dei molti che lo hanno preceduto, il neoeletto è un industriale vero, che gestisce un’azienda da oltre due miliardi di fatturato. La ereditò dal padre tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta: allora la Mapei era nota per produrre intonaci per l’edilizia e poco più. In trent’anni il gruppo è cresciuto in Italia e all’estero: 46 stabilimenti, di cui solo sette nella Penisola. Diciamo che Squinzi è uno dei pochi imprenditori italiani al vertice di una multinazionale vera, abituato dunque a misurarsi ogni giorno con il mercato e non solo a parole.  Di lui posso dire che dopo averlo incontrato, anziché guardarlo salire  su una berlina con autista, l’ho visto  prendere la metropolitana come un impiegato  qualsiasi, e della sua azienda mi è rimasto impresso che da vent’anni non distribuisca dividendi. Non perché non faccia utili, ma perché sia lui che la sorella - la quale fa l’avvocato e non si occupa di Mapei  - per campare non hanno bisogno di sottrarre risorse all’impresa. Insomma, Giorgio Squinzi mi sembra un signore sobrio e molto concreto, che sa il fatto suo e conosce come gira il mondo. Dunque quello che ci vuole di questi tempi, in cui tutti parlano di crescita - anche i più sobri dei sobri, cioè i professori - ma nessuno sa come ottenerla.  In tre parole: ha il physique du rôle. Devo dire che, date le aspettative, il discorso di insediamento del neo presidente di Confindustria non mi ha deluso. Parlando all’auditorium di Roma l’uomo da due miliardi di euro, il cui gruppo opera in 23 Paesi, ha detto quello che tutti quanti gli industriali sanno e noi con loro. Fare impresa in Italia è molto difficile e se uno  si imbarca nell’avventura di tirar su la clèr di una fabbrica lo fa a proprio rischio e pericolo, dei propri soldi e del proprio fegato. La scelta più facile oggi è aprire un’attività fuori dai confini nazionali, dove si è accolti come benefattori, si ottengono i permessi in un amen e si pagano meno tasse. Come si fa a sostenere la crescita e favorire l’occupazione se non si incentivano le imprese, ma anzi  si mettono a queste i bastoni fra le ruote? Per quanto il governo tecnico ne sia convinto, lo sviluppo non  si ottiene con i decreti, ma  grazie al successo di tante piccole realtà, le quali, se aiutate, possono crescere, dare occupazione, pagare le tasse e far salire il Pil.  Il ragionamento, che non fa una grinza, è stato spiegato con chiarezza e linearità da Squinzi nel suo intervento. Appena subentrato a Marcegaglia, egli ha bastonato senza mezze parole la riforma del mercato del lavoro che il governo ha in canna. La legge in discussione alle Camere, sarebbe infatti inutile e addirittura introdurrebbe idee bislacche sulla codecisione nelle imprese. Non solo: secondo il neo presidente essa getterebbe la parte buona dell’intesa già raggiunta fra imprese e sindacati in materia di flessibilità e di doppio livello di contrattazione. Ma ciò che proprio non va giù a Squinzi sono i finti tagli alla spesa pubblica, tanto annunciati dal presidente del Consiglio e di cui finora non si è vista neppure l’ombra. Non è mancato anche un forte richiamo riguardo alle tasse, che sulle aziende gravano oltre il 68 per cento, quando in altri Paesi dal sistema di welfare forte si supera di poco il 50 e, addirittura, il 37 nel Regno Unito.  La riforma più sollecitata dal nuovo numero uno degli imprenditori è però quella della Pubblica amministrazione, da lui definita la madre di tutte le riforme. E quando parla di burocrazia Squinzi sa quel che dice. Anni fa perse la commessa di una multinazionale americana per non avere ricevuto in tempo il via libera a costruire un nuovo impianto: in fumo se ne andarono 80 milioni e diverse assunzioni. Serve una semplificazione normativa, ha detto il nuovo capo degli industriali. Il quale - a differenza di alcuni che lo hanno preceduto -  non pare abbia intenzione di presentarsi con il cappello in mano di fronte ai professori, elemosinando favori e privilegi. Che dire? Del suo discorso condividiamo praticamente tutto, perché ci pare un programma serio di un signore che quando parla di impresa non lo fa a vanvera. Quanto detto andrebbe bene non solo come base per un’associazione di imprenditori, ma anche come piano di un partito che intenda concretamente rilanciare l’economia di questo Paese. Ci vorrebbe poco per far ritornare a correre l’Italia: basterebbero i tagli agli sprechi, una buona riforma del mercato del lavoro, una riduzione delle tasse sulle imprese e una vera liberalizzazione dalla burocrazia. E basterebbe un partito con un uomo credibile che sia pronto a realizzare questi obiettivi. Lo dico anche al Pdl, cui nei giorni scorsi ho rivolto non poche critiche. Se volete risorgere, tenete d’occhio uomini come Squinzi: hanno dalla loro il lavoro. E poi ci risulta che il neo presidente, qualche volta, abbia già battuto Romano Prodi. In bicicletta, ovviamente. di Maurizio Belpietro @BelpietroTweet

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