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Forza Monti, cancella lo statuto speciale della Sicilia

Un'occasione storica: l'origine di sperperi e privilegi è tutta lì. Se il Prof lo smantella, siamo pronti ad applaudirlo
di Andrea Tempestini domenica 22 luglio 2012

3' di lettura

Qualche giorno fa abbiamo posto provocatoriamente una domanda: possiamo ancora permetterci di pagare l’autonomia della Regione Siciliana? Un Paese con l’acqua alla gola, che chiede sacrifici ai propri cittadini ed è costretto ad alzare le tasse a un livello mai visto, è tuttora in grado di consentire a una classe politica come quella dell’isola di mantenere il proprio potere e la propria inefficienza grazie all’elargizione di decine di migliaia di posti pubblici? La risposta per noi era scontata: no. Il tasso di spreco e di corruzione della Sicilia non è più sopportabile o, per lo meno, non lo è per una nazione in crisi. Perciò proponevamo di farla finita con lo Statuto speciale che consente alla Regione guidata da Raffaele Lombardo di spendere e spandere mentre il resto dell’Italia tira la cinghia. Scrivendola temevamo che la nostra predica sarebbe caduta nel vuoto, senza che nessuno avesse il coraggio di aprire l’imbarazzante dossier siciliano. Invece, a sorpresa, non solo abbiamo dovuto registrare l’intervento del ministro della Funzione Pubblica, sollecitato dai numeri sui dipendenti in forza negli enti locali dell’isola, ma anche dello stesso governatore, il quale, seppur difendendo il proprio operato, è stato costretto al confronto sui temi dell’uso del denaro pubblico e degli organici della Regione. Sull’argomento è poi intervenuto, dalle pagine del Corriere della Sera, anche il vicepresidente della Confindustria Ivan Lo Bello, il quale si era dichiarato favorevole a un intervento del governo, sposando l’idea di accantonare l’autonomia di cui gode la Sicilia, perché presto Palazzo dei Normanni non avrebbe avuto in cassa neppure i soldi per pagare gli stipendi ai propri dipendenti e pensionati. Ma la vera novità è che nel dibattito si è infilato anche il presidente del Consiglio, il quale ieri ha inviato a Raffaele Lombardo una lettera, denunciando il rischio di un fallimento della Regione e chiedendo conferma al governatore delle sue dimissioni entro la fine del mese. Insomma, quello che sollecitavamo forse sta avvenendo e noi per primi ne siamo stupiti. Di fronte a una situazione resa incandescente da anni di malgoverno e pratiche clientelari, aggravata da un uso scellerato delle assunzioni, Monti starebbe valutando la possibilità di commissariare la Sicilia. Un provvedimento che, a memoria di cronista, non ci pare sia mai stato preso e che forse potrebbe perfino essere contestato sotto il profilo costituzionale.  Ma indipendentemente dalla questione di lana caprina, ovvero se sia possibile o no commissariare una Regione, resta il tema che la Sicilia è sull’orlo del fallimento e qualcosa si deve pur fare. Ovviamente, che Palazzo dei Normanni sia vicino al default, cioè abbia più debiti che crediti e non sia più in grado di far fronte agli impegni finanziari, non ci stupisce. Una Regione che ha 28 mila forestali, cioè più del Canada, Paese che però non ha 2.500 chilometri quadrati di boschi ma 400 mila. Un’amministrazione che ha quasi ventimila impiegati, contro i 3 mila della Lombardia, che pure ha il doppio degli abitanti. Un capoluogo come Palermo che ha quattro volte il personale di cui avrebbe bisogno se paragonato ad altre città di analoghe dimensioni. Come poteva dunque finire se non, prima o poi, in bancarotta? Era possibile credere che le tasse raccolte nell’isola e i ricchi trasferimenti dello Stato potessero bastare a saldare il conto di una Regione che in larga parte vive di spesa pubblica? Anche in questo caso la risposta è scontata e anzi ci fa venire in mente che ci sarebbe stato motivo per attendersi il fallimento già anni fa, ma l’economia in crescita del Nord dell’Italia ha evitato la resa dei conti. La crisi però ora ha chiuso le possibili vie d’uscita e oggi la Regione più autonoma d’Italia si trova di fronte a due sole strade. O continua a conservare Statuto speciale e privilegi, ma senza poter disporre dei soldi e dunque condannandosi al fallimento. Oppure rivede il patto che la lega all’Italia, accettando di assoggettarsi alle regole di bilancio e di buona amministrazione. Noi naturalmente propendiamo per quest’ultima soluzione. Così come siamo favorevoli ad un immediato commissariamento della Sicilia. Tra le poche cose buone fatte da Mario Monti, se passasse, questa potrebbe essere la migliore. Riuscire a cancellare lo Statuto speciale e gli sprechi che esso consente non è un’opera da poco, ma una svolta storica. Insomma, l’avete capito: se il premier si muove, siamo disposti perfino ad applaudirlo. Incrociamo le dita. di Maurizio Belpietro

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