Anche il Big Ben di Londra ha dato il suo contributo al conto alla rovescia verso la cerimonia d’inaugurazione della trentesima edizione dei giochi Olimpici di Londra di questa sera. Il celebre monumento londinese ha dato puntuale i suoi rintocchi alle 8.15 locali, le 9.15 in Italia, unendosi al coro di tutti i campanili del Regno Unito che hanno risuonato per 40 volte esattamente nello stesso momento. Un momento storico per Londra visto che l’ultima volta che era stata derogata la rigidità della sua puntualità era stato il 15 febbraio 1952 in occasione del funerale di Re Giorgio VI. di Leonardo Iannacci Non ci saranno i fuochi d’artificio di quattro anni fa, a Pechino. Non si ballerà il sirtaki come nel 2004, ad Atene. Niente danze tribali o sfilate aborigene tipo quelle che avevano aperto Sidney 2000. E neppure, grazie al cielo, cow-boy e indiani come ad Atlanta 1996. Lo show che apre stasera all’Olympic Stadium di Londra i Giochi della 30esima Olimpiade dell’era moderna si annuncia finalmente come si deve: una festa zeppa di star della musica, del cinema, dello sport. Si spera gradevole. Saranno quattro i miliardi di telespettatori attenti a cogliere tutte le sfumature di un evento che è costato 33 milioni di euro, una cifra enorme ma neppure confrontabile con i soldi spesi quattro anni fa dai cinesi: 41 i milioni di euro gettati al vento per vedere balletti un po’ idioti, fumogeni e giochi di luce come se si fosse sulla spiaggia di Rimini la notte di Ferragosto. Meno, molto meno, la Grecia aveva sborsato per una cerimonia pure quella bolsa e bruttissima (20 milioni dell’epoca); stessa cifra si era spesa a Sidney e ancor meno ad Atlanta (16). Pochissime, ma era un’altra era, le lire sborsate per l’avvio dell’unica edizione dei Giochi in Italia, a Roma nel 1960. La sfilata si tenne a Piazza San Pietro, durò poco meno di due ore, con la benedizione di Papa Giovanni XXIII e via andare. La verità è che non si sono mai giustificati tanti soldi spesi per tre ore di cerimonia durante la quale, solitamente, si assiste a balletti e facezie barbosissime, lontanamente ispirate alla nazione ospitante, quindi sfilano le delegazioni dei Paesi, poi si presentano gli atleti con quelli scelti come portabandiera (quest’anno, per l’Italia, Valentina Vezzali), infine si ascoltano noiosi discorsi che anticipano l’accensione della torcia. Un momento che dovrebbe essere solenne. La realtà è che oggi, in un mondo che è quanto di più professionistico ci sia, la filosofia del povero De Coubertin fa l’effetto di Carosello. Eppure quella che andremo a vedere stasera, accomodandoci nella tribuna stampa del fiammante stadio olimpico londinese, si annuncia come il più faraonico e hollywoodiano degli show. A tal punto finto e platinato che rischia di risultare, alla fine, bello. Diretto dal regista premio Oscar Danny Boyle (quello di Trainspotting), l’evento intitolato «Isola delle meraviglie» vedrà la presenza di tutti gli stereotipi della Perfida Albione. Questa la scaletta delle tre ore. All’inizio, la campagna britannica farà da sfondo al mondo bucolico completo di contadini, mucche, capre e persino anatre. Poi ecco l’arrivo della Regina Elisabetta in tribuna, un mini-film girato a Buckingham Palace con l’agente 007 in azione per salvare Sua Maestà, una pièce durante la quale l’attore Kenneth Branagh reciterà un testo tratto dalla Tempesta di Wiliam Shakespeare, David Beckham e il totem tremante Muhammed Alì primattori nello stadio, quindi scenografie sull’Inghilterra industrializzata e momenti dedicati a Peter Pan, Alice nel paese delle meraviglie e Harry Potter, con tante Mary Poppins che scenderanno, ombrelli alla mano, dal cielo. Su tutto la musica: durante la probabile esecuzione di Rocket Man di Elton John (se dovesse saltare pronto un maxi medley con musiche di Eric Clapton, Sex Pistols, Who, Pink Floyd, David Bowie), veri uomini razzo saranno sparati in cielo. Poi bolle di sapone inonderanno lo stadio durante Forever Blowing Bibbles; i Duran Duran suoneranno con gli Snowpatrol; un coro di bambini sordomuti, con il linguaggio dei segni, interpreterà l’inno inglese mentre a mezzanotte e dintorni si materializzerà la frangetta tinta color mogano di Paul McCartney. L’ex Beatle - che ieri ha definito «un idiota» il ct Stuart Pearce, a suo modo di vedere colpevole di aver lasciato a casa Beckham - chiuderà la prima notte olimpica e aprirà i Giochi cantando Hey Jude e il set finale dell’ultimo album dei Beatles, anno 1970. Il titolo è, curiosamente ma non troppo, The end. In fondo, come diceva Agatha Christie (inglese pure lei), in ogni fine c’è un principio.