L'intesa-farsa dei partiti sulla riforma del finanziamento pubblico arriverà sotto forma di disegno di legge: lo hanno concordato il Pdl, il Pd e l'Udc. L'annuncio è arrivato da Gianclaudio Brassa del Partito Democratico. Le nuove regole erano state presentate sotto forma di un emendamento al decreto fiscale, ma il presidente della Camera, Gianfranco Fini, lo ha dichiarato inammissibile, salvando così per il momento i fondi delle formazioni politiche. Lega Nord e Italia dei Valori avevano espresso parere contrario all'emendamento. Gianfranco Conte, relatore dell'emendamento, già in precedenza aveva spiegato che il leader futurista avrebbe potuto mettersi di traverso: "E' a forte rischio di ammissibilità (l'emendamento, ndr), Fini potrebbe respingerlo perché non c'è un'ampia intesa tra le forze politiche. In questo caso ci sarebbe l'alternativa del decreto". Ma secondo quanto si è appreso, la strada che verrà seguita non sarà quella del decreto: Alfano, Bersani e Casini sono pronti a presentare un disegno da loro firmato. Il solito differimento - Così, con questo colpo di scena, il leader di Futuro e Liberà ha dichiarato il bottino della Casta. Per i tecnici di Montecitorio l'emendamento è "incoerente" col decreto legge sul fisco e privo dei requisiti di necessità e urgenza. Nel nuovo testo che è stato siglato non sono previsti tagli alla quantità dei fondi, ma solo che i partiti non ritireranno la tranche di 180 milioni (sì, 180 milioni, e non 100 come vanno dicendo da giorni i leader di Pd, Pdl e Udc: leggi l'approfondimento di Franco Bechis) per i rimborsi delle politiche del 2008, fino all'approvazione dell'autoriforma. Ma che questa autoriforma dei partiti fosse partita male lo testimoniava anche l'emendamento: l'articolo 9, infatti, prevedeva il solito differimento. I controlli sui bilanci sarebbero partiti da quelli relativi al 2013, in termini spicci a partire dalla primavera del 2014. Insomma, secondo la politica travolta dagli scandali, di controllare i bilanci non c'è nessuna urgenza.