di Claudio Brigliadori Ventotto medaglie, di cui 8 ori. A Londra l'Italia si piazza ottava nel medagliere, e per usare l'espressione di un esultante Gianni Petrucci "resta nel G8 dello sport". "Per la prima volta avevo fatto una previsione - ha commentato prima della cerimonia di chiusura delle Olimpiadi il presidente del Coni - e cioè che mi sarei ritenuto soddisfatto con venticinque medaglie. Ammetto che avevo tantissima paura che non superassimo le venti, invece ne abbiamo conquistate tre in più, quindi...". Un podio e una posizione in classifica in più rispetto a Pechino 2008. Ma non ci sono solo la scherma e il tiro al volo, le fiorettiste, Jessica Rossi e Nicolò Campriani. Le grandi imprese azzurre non possono nascondere gli angoli bui di delusione e cattiva gestione delle risorse. Sotto accusa ci andranno tre federazioni: nuoto, canottaggio, atletica. E qualcosa, in questo senso, s'è già mosso. Canottaggio a fondo - Uno dei tradizionali bacini di medaglie olimpice dello sport italiano è il canottaggio. Che sulle acque di Londra, però, ha fatto flop. Simbolo del fallimento è forse, paradossalmente, l'unica medaglia conquistata dai nostri armi: l'argento della coppia Sartori-Battisti. Coppia che alle Olimpiadi non doveva esserci, per scelta tecnica. "Gli allenatori non ci avevano scelto, non ci volevano", hanno accusato i due azzurri. Che si sono allenati da soli, da separati in casa, e hanno conquistato in extremis la convocazione. Il consiglio federale ne ha preso atto e al termine della spedizione si è riunito con procedura d'emergenza decidendo di esonerare il ct Giuseppe De Capua, sollevato dall'incarico "con rammarico". Il consiglio ha parlato di "una situazione di grave disagio all'interno del settore senior maschile". A De Capua succede il direttore tecnico Antonio Alfine, la sfida difficile è quella di ricreare un gruppo in grado di riprendersi subito e non solo in vista di Rio 2016: alle porte, infatti, ci sono Mondiale di Plovdiv e Europei di Varese, le Olimpiadi sono già il passato. Veleni in vasca - La Federazione più clamorosamente sotto tiro però è stata quella del nuoto. I risultati sono stati deprimenti: solo un bronzo, in chiusura, nella 10 km di nuoto femminile con la Grimaldi (ma la squadra di fondo è tradizionalmente altra cosa dalla vasca) e soprattutto una polemica al giorno. Al centro di quello che è sembrato un regolamento di conti ci sono finiti Federica Pellegrini e Pippo Magnini, la coppia d'oro del nuoto azzurro. Fede ha raccolto due quinti posti nei 200 e nei 400, troppo poco. Disastroso Magnini, che dopo la 4x100 ha pensto bene di scaricare gran parte delle colpe sui compagni di staffetta. Che non l'hanno presa bene: sono volati gli stracci e il velocista Orsi ha parlato di "clima irrespirabile", L'altro staffettista Dotto ha addirittura confessato di essere dovuto 'scappare' dalla fidanzata Rossella Fiamingo, spadista anche lei al Villaggio Olimpico, per sfuggire alle tensioni. Questioni caratteriali, incompatibilità, piccole ripicche: Fede e Pippo pagano forse la colpa di essere stati sovraesposti, divi da copertina di uno sport esploso soprattutto negli ultimi 10 anni, grazie proprio alla Pellegrini. Qui sta il guaio: le medaglie dal nuoto per l'Italia non sono un'abitudine, fino a Sidney 2000 (quella di Rosolino, Brambilla, Fioravanti) si contavano sulle dita di una mano. Con la Pellegrini è iniziato un periodo meraviglioso che pare destinato a chiudersi perché di talenti, nell'immediato, se ne vedono pochi. Il solo Greg Paltrinieri, nei 1500, a 17 anni pare destinato a grandi risultati. Questo è l'errore più grande: non aver coltivato al meglio il pieno di entusiasmo giovanile garantito dai pochi fenomeni assoluti che abbiamo. Nel mirino c'è finito il tecnico della velocità Claudio Rossetto, accusato dal 30enne Magnini. Ma forse l'eredità di Castagnetti è troppo pesante perché se ne faccia carico una sola persona. Corsa solitaria - Discorso simile per l'atletica. Qui non è tanto questione di medaglie (il bronzo di Donato nel triplo, una mezza impresa) ma di amministrazione delle risorse umane. Si era cominciato male già con Antonietta Di Martino, la saltatrice in alto con velleità di podio fermata a maggio da un infortunio. Il marito-allenatore Di Matteo ha accusato la Federazione: "E' stata curata male, in modo superficiale. Adesso ci aspettiamo le scuse di qualcuno". Il presidente Franco Arese ci è rimasto male e non si è scusato. Sulle sue spalle anche la delusione per Andrew Howe, ex ragazzo prodigio della velocità ripiegato sul salto in lungo. Quasi corpo estraneo alla Federazione, nelle mani della madre-allenatrice-manager, Howe si è gestito male. L'infortunio al tendine d'Achille a Rieti nel 2011 gli ha compromesso una stagione e mezza. Troppo. Tra spot pubblicitari e interviste, anche lui deve ricostruirsi agonisticamente. E' finita, invece, la carriera di Alex Schwazer. L'oro nella marcia 50 km a Pechino 2008, l'unico fenomeno dell'atletica italiana, è finito nella rete di un clamoroso caso di doping. La positività all'Epo del 28enne altoatesino è la mazzata sull'Italia che corre e salta. La domanda obbligatoria alla Federazione è una sola: com'è possibile che il miglior atleta italiano si possa dopare all'insaputa di staff tecnico, allenatori, preparatori, dirigenti? "Nessuno sapeva niente, ho fatto tutto sa solo", ha chiarto Schwazer. Non resta che una conclusione: l'hanno lasciato da solo, confidando nel suo talento e nella sua solidità. No, non si gestisce così un campione.