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I manettari non hanno un'anima:non esitano a definire Scalfaro"interlocutore di Cosa Nostra"

I teorici della trattativa tra Stato e Mafia, pur di sostenere il teorema infangano l'ex presidente. E sono gli stessi che un tempo facevano gara a osannarlo
di Andrea Tempestini domenica 16 settembre 2012

Oscar Luigi Scalfaro

2' di lettura

  di Marco Gorra C’è, nella disinvoltura con cui il fronte giustizialista sta gettando i poveri resti di Oscar Luigi Scalfaro nel girone dei dannati della trattativa Stato-mafia, parecchio di istruttivo. In primo luogo, c’è la conferma che a questo mondo la gratitudine è ufficialmente andata esaurita. Perché un trattamento simile da parte dei manettari poteva aspettarselo chiunque tranne Scalfaro. Cioè colui il quale, vita natural durante, è stato da parte di quella medesima gente innalzato al rango di eroe in servizio permanente ed effettivo. Diversi i meriti (eroe dell’antiberlusconismo, eroe della Costituzione, eroe della questione morale, eroe della Resistenza, eccetera), unico lo svolgimento. Con Scalfaro a diventare tanto sacro al punto di guadagnarsi l’intoccabilità ex post: «Giù le mani da Scalfaro!» si intimava a quanti tirassero in ballo magagne antiche e recenti dell’ex presidente della Repubblica (tesi: Scalfaro dice le cose scomode sul Cav e la macchina del fango berlusconiana per rappresaglia ritira fuori il «non ci sto»). Anche quando le parole dell’ex Guardasigilli Giovanni Conso avevano iniziato a fare luce sulle implicazioni di Scalfaro nella trattativa tra Stato e mafia, il riguardo usato nei confronti dell’ex uomo del Colle era stato massimo, quasi gli acquisiti meriti antiberlusconiani garantissero una qualche dispensa. Non più. Ora che la trattativa stato-Mafia è diventata il primo valore (e ora che la sua macchina necessita di continui rifornimenti di carburante) si prendono le spoglie di Scalfaro e le si gettano con pochissime cerimonie nel calderone. Titoloni, appena ingentiliti dalle virgolette: «Scalfaro fu il regista della trattativa», spazio e grancassa massime a chi accusa l’ormai non più eroe di avere fatto pastette le più inconfessabili coi boss della mafia, un impressionante volume di fuoco sull’ex inquilino del Colle. È, per questo, ulteriormente suggestivo prendere atto di come, per appiccicare sull’illustre schiena ex presidenziale il cartellino di grande capo della trattativa, i manettari di cui sopra siano ben felici di pendere dalle labbra di gente come Claudio Martelli e Vincenzo Scotti. Cioè di due reduci della prima repubblica che, nella visione forcaiola del mondo, dovevano solo ringraziare di essere usciti vivi da sotto le monetine e sparire per sempre. Non però se tornano utili per fornire ottani al motore che manda avanti il tormentone della trattativa. In questo caso, per il delfino di Craxi e per il Tarzan della Democrazia cristiana scatta tosto la riabilitazione: guadagnata in un lampo la credibilità mai riconosciuta in una vita, vengono microfonati a tutto volume e tenuti in grande considerazione. Scalfaro in combutta coi mafiosi perché l’ha detto Martelli. Firmato, gli ex amici di Scalfaro ed ex nemici di Martelli. Sublime.  

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