"Magari alla fine vincerà, ma il mito è finito, sepolto dalle incertezze e dalla divisioni degli elettori, dalla delusione dei suoi un tempo fanatici sostenitori, dalle cifre dei sondaggi che si sono avvicinate, sfiorate, persino accavallate per restare sostanzialmente paritarie, dallo spettro quindi del pareggio, uno spettro che resiste ai miliardi di dollari spesi in campagna; sepolto dalle schiere di avvocati esperti di dispute elettorali sbarcate in Ohio e in Florida nel fine settimana pronti ad entrare in lotta per il riconteggio dei voti, dai titoli dei giornali amici, e che pure lo hanno ufficialmente appoggiato, che unanimemente raccontano una corsa sul filo di rasoio, prevedere il risultato della quale sarebbe folle oltre che disonesto. Un titolo per tutti, uno dei tanti recenti del New York Times, credo sul magazine della domenica, è impietoso e illuminante: Che fine ha fatto il grande comunicatore? Già, che fine ha fatto la figura messianica di Barak Hussein Obama, quarantaquattresimo presidente degli Stati Uniti, che come poche volte nella storia recente di quel grande Paese democratico, sembrava non razionalmente e ragionevolmente eletto su un programma che era chiamato a mantenere, ma investito di grazia e aspettativa suprema di rinascita?", commenta Maria Giovanna Magli su Libero di martedì 6 novembre. Obama può anche farcela contro Romney, ma in realtà ha perso molto delle sue capacità comunicative che hanno fatto sognare gli americani nel 2008. La sua sfida l'ha già persa. Non ha più quel vento in poppa che lo aveva portato alla vittoria di 4 anni fa. Continua a leggere il commento di Maria Giovanna Magli su Libero di martedì 6 novembre