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L'ex magistrato del Pdliquida il partito dei PmFacci: Ravvedimenti senili

Si accorge ora del "populismo giuridico" delle toghe rosse. Ma lui stesso ne è stato capofila
di Nicoletta Orlandi Posti domenica 26 agosto 2012

3' di lettura

  di Filippo Facci Quando Luciano Violante fa delle asserzioni anche savie e ragionevoli - persino ovvie, da queste parti - sale un senso di disagio che è difficile da spiegare. Da una parte viene da ossequiarsi a una politica che tende ad arruolare chiunque faccia comodo in quel momento: se Violante dice «c’è chi usa le procure come una clava politica», come ha fatto domenica in un’intervista ad Avvenire, ergo, verrebbe da dargli ragione e basta. Da un’altra parte, però, a mettere in fila tutte le asserzioni domenicali di Violante, il disagio non fa che crescere: «Vedo in corso un attacco politico al ruolo del Quirinale e al governo... Un blocco che sta reindirizzando il reinsorgente populismo italiano... Il solco è stato tracciato da trasmissioni televisive come quelle di Santoro... La democrazia deve ritrovare le sue ragioni di fondo nella separazione dei poteri». Ecco: sono a tal punto ragionevoli, come uscite, che proposte su Libero o sul Giornale verrebbero giudicate persino banali, roba che appare giustificabile solo in virtù del pulpito da cui ora provengono. Ma la ragione del disagio è un’altra, e si fa definitiva una volta ripercorsa anche minimamente la carriera di questo ex magistrato ed ex presidente della Camera.  Perché è vero, sì, in effetti è da molti anni che Luciano Violante si è fatto per così dire «ragionevole»: nel marzo 2008 riuscì a sostenere che il processo Andreotti non andasse neppure celebrato, e che il piano politico non andava confuso con quello giudiziario; disse che il sostegno acritico al Pool di Mani pulite fu un male e che certi eccessi a lui non piacevano; le intercettazioni telefoniche, disse infine, non andrebbero pubblicate praticamente mai. Bravo Violante: venga a prendere un caffè da noi. Del resto nel 2008 fu candidato a presidente della Corte Costituzionale, e il centrodestra sembrò sul punto di votarlo; nello stesso anno fu l’unico esponente di centrosinistra a essere invitato alla Festa della Libertà, e le sedicenti Brigate Rosse lo minacciarono di morte in quanto «servo dello Stato al servizio della destra». Eppure, dicevamo, è proprio a destra che un filo di disagio rimane comunque: perché purtroppo il passato esiste, e reclama la sua parte anche se non dovesse essere funzionale alla realpolitik o alla memoria cortissima di questo Paese.  Perché Luciano Violante, vedete, resta lo stesso signore che nel 1978 istruì il processo contro Edgardo Sogno e Luigi Cavallo (incolpati di colpo di Stato con Randolfo Pacciardi: tutti assolti) e poi l’anno dopo  s’iscrisse al Pci e venne subito eletto deputato. Hai voglia, ora, a tuonare contro il «Populismo giuridico» come ha fatto su Avvenire. Violante è lo stesso personaggio che a sinistra diede l'ordine sostanziale di mollare Giovanni Falcone, tanto che il linciaggio politico e giornalistico contro il magistrato partì giusto da lì. Violante, dal 1992 al 1994, fu il presidente della Commissione Antimafia che «rivelò» l’esistenza di un terzo livello della mafia che diede il via alla procure di mezz’Italia. Nel 1994 disse che «Berlusconi ripete la parola d’ordine del fascismo e del nazismo, quando morivano nei lager i comunisti, i socialisti e gli ebrei», e disse che Forza Italia «fa una chiamata alla mafia». Dovette dimettersi dall’Antimafia, per questo. E non paiono peccati di gioventù, visto che diceva queste cose a 51 anni suonati. E nel 2002, quando disse che «le proposte di Berlusconi rispondono alle richieste dei grandi mafiosi», di anni ne aveva 61. Ora parla di «populismo giuridico», ma durante Mani pulite diceva che «il partito dei giudici non esiste, esiste invece quello degli imputati». Tempo due anni e, quando la procura di La Spezia indagò su Antonio Di Pietro, rivide la posizione: «Ci sono magistrati pericolosi che hanno costruito le loro carriere sul consenso popolare». Era il Violante soprannominato «piccolo Vishinskij», accusato di capitanare il partito delle toghe rosse, quello che ora se la prende con Michele Santoro ma che fu ospite proprio da lui con Francesco Saverio Borrelli e Ilda Boccassini.  Ne consegue che Luciano Violante può andare incontro a tutte le folgorazioni senili che voglia, ora, e seguitare a fare asserzioni ragionevoli benché fuori tempo. La politica, del resto, è così. Meglio tardi che mai, si dice. Ma talvolta - vien da dire - sarebbe meglio mai.  

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