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Pensioni più basse del 3%

Cambiano i coefficienti di calcolo dell'assegno: per evitare il salasso bisogna lavorare più anni
di Lucia Esposito domenica 20 maggio 2012

2' di lettura

  Le pensioni potrebbero erogate tra il 2013 e il 2015 potrebbero essere più leggere. Un decreto ministeriale ha stabilito, infatti, nuovi coefficienti che potrebbero rendere più basse le pensioni di circa il 3%.  Una riduzione che, però sarà annullata per chi decide di lavorare qualche anno in più. A studiare gli effetti dei nuovi valori messi ap unto dai tecnici del lavoro, in concerto con l'Economia, è il Sole 24 ore. I nuovi coefficienti. calcolati sulla base di parametri come l'aspettativa di vita, la probabilità del lavoratore di lasciare il nucleo familiare, la differenza di età tra i coniugi potrebbero incentivare i lavoratori a restare qualche anno in più in azienda. "Abolita la finestra unica, dai 65 ai 70 anni, per ogni singolo anno, il lavoratore potrà fare un facile conto di quanto crescerebbe la sua pensione moltiplicando il montante contributivo raggiunto con il nuovo coefficiente, operazione che i 65enni fino al 2012 non hanno potuto fare proprio perché il loro moltiplicatore non andava oltre quel limite di età", scrive il sole 24 ore.    I nuovi parametri entreranno in funzione nel 2013 portando a 66 anni e 3 mesi il requisito per lap ensione di vecchiaia dei lavoratori dipendenti e autonomi e delle lavoratrici del pubblico impiego (62 e 3 mesi per le lavoratrici dipendenti del settore privato). Il prossimo ricalcolo, sempre per un triennio, scatterà nel 2016, mentre a partire dal 2019 (l'anno dell'allineamento a 67 anni per la pensione di vecchiaia per tutti) i successivi aggiornamenti avranno una cadenza biennale, in tandem con gli adeguamenti previsti dalla riforma che agganciano i requisiti di accesso al pensionamento all'aspettativa di vita.   Scondo lo studio del quotidiano di Confindustria a pesare negativamente sull'ammontare delle pensioni sarà il meccanismo di valorizzazione dei montanti contributivi, che £al termine di ogni anno fa scattare una rivalutazione basata sulla variazione del Pil nominale (calcolato dall'Istat sulla media dei 5 anni". In tempi di recessione, le prospettive sugli assegni futuri non sono buone. Da qui l'incentivo a lasciare più tardi il posto di lavoro.   

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